Torture e frustrate alle attiviste saudite che si sono battute contro il divieto di guida

Torturate con scariche elettriche, molestate sessualmente e frustrate con i fili del telefono. Questa la sorte delle attiviste saudite arrestate l’estate scorsa per aver lottato per il diritto di guida in Arabia Saudita e per l’abolizione del guardiano, una figura che le costringe a sottostare a delle regole ferree. A denunciarlo è Amnesty International.

Torturate con scariche elettriche, molestate sessualmente e frustrate con i fili del telefono. Questa la sorte delle attiviste saudite arrestate l’estate scorsa per aver lottato per il diritto di guida in Arabia Saudita e per l’abolizione del guardiano, una figura che le costringe a sottostare a delle regole ferree. A denunciarlo è Amnesty International.

L’organizzazione umanitaria assieme a Human rights watch ha raccolto diverse testimonianze secondo cui le attiviste (ma ci sono anche degli uomini) che si trovano in carcere dal maggio 2018 hanno subito molestie sessuali, maltrattamenti e torture durante gli interrogatori all’interno della prigione di Dhahban.

Un attivista è stato lasciato appeso al soffitto e un’attivista è stata sottoposta a molestie sessuali mentre veniva interrogata da uomini dal volto coperto. C’è stato anche un tentativo di suicidio.

La battaglia per permettere alle donne di guidare va avanti ormai da anni.

“Il divieto di guida per le donne rappresenta un immenso ostacolo alla libertà di movimento e limita gravemente la possibilità di svolgere la vita di tutti giorni nel modo preferito, come andare al lavoro, fare la spesa o andare a prendere i figli a scuola”, diceva già nel 2011 Philip Luther, vicedirettore del Programma Africa del Nord e Medio Oriente di Amnesty International.

Ma le autorità saudite continuano ad arrestare le donne che si ribellano siano al divieto di guida, che al guardiano che impedisce alle saudite di fare la maggior parte delle loro scelte, come lavorare, viaggiare, ottenere la custodia dei figli in caso di divorzio, senza il consenso di un uomo.

“A poche settimane di distanza dall’efferato omicidio del giornalista Jamal Khashoggi queste drammatiche denunce, se confermate, costituirebbero un ulteriore vergognoso esempio di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità saudite”, spiega Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.

La direzione del carcere di Dhahban ha ripetutamente ammonito i detenuti a non rivelare ai familiari le torture subite o le procedure vigenti.

“Le autorità saudite devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le persone detenute solo per aver svolto attività pacifiche in favore dei diritti umani e devono avviare subito un’indagine approfondita ed esauriente su queste denunce di tortura, portando a processo i responsabili”, ha sottolineato Maalouf.

La tortura è regolarmente praticata nelle prigioni e nei centri di detenzione dell’Arabia Saudita, stato firmatario della Convenzione Onu contro la tortura.

Molti detenuti hanno riferito nel corso dei processi di essere stati torturati per estorcere confessioni, perché avevano rifiutato di pentirsi o per costringerli a promettere che non avrebbero più criticato il governo.

Le persone arrestate sono ancora detenute senza accusa e senza avere accesso a un avvocato. Per i primi tre mesi sono state trattenute in isolamento in località sconosciute senza poter avere contatti col mondo esterno.

Cosa puoi fare tu

FERMIAMO LA DISCRIMINAZIONE DELLE DONNE IN ARABIA SAUDITA

Si legge nella petizione:

Chiediamo il rilascio delle tre attiviste per i diritti umani, Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef, immediatamente e incondizionatamente.

Esortiamo inoltre l’Arabia Saudita, in attesa della loro liberazione, a rivelare dove si trovino le attiviste per i diritti umani e ad assicurare loro l’accesso alle famiglie e all’avvocato di propria scelta senza indugio, e che siano protette dalla tortura e da altri maltrattamenti.

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Dominella Trunfio

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