Cos’è la rivolta del carcere di Porto Azzurro (e chi è Mario Tuti)

Una pagina oscura del nostro passato recente, che forse i più giovani non conoscono, rivive in un documentario in onda su Rai 2

Una vicenda buia del nostro passato recente, quella del sequestro del carcere di Porto Azzurro (Isola d’Elba), che rivive per la prima volta in un film documentario realizzato da Stand by Me e andato in onda ieri sera su RAI 2. Ma cosa avvenne davvero in quei drammatici momenti e che fine hanno fatto i protagonisti di quella vicenda?

Negli anni Ottanta, il carcere di Porto Azzurro rappresentava all’epoca un’avanguardia nel trattamento dei detenuti e nella loro riabilitazione umana e sociale. Diversamente da quanto accadeva negli altri istituti penitenziari italiani, a Porto Azzurro il clima era sereno e disteso: i detenuti erano impegnati quotidianamente in diverse attività lavorative e ricreative, e con le guardie carcerarie avevano un rapporto collaborativo.

Tutto questo si interruppe nell’agosto del 1987 quando un gruppo di detenuti tenta l’evasione prima di prendere il controllo dell’istituto con le armi, sequestrando 33 persone fra compagni di cella e personale carcerario (anche il direttore del penitenziario fu fatto prigioniero) per sette lunghi giorni.

Il gruppo di rivoltosi era guidato da Mario Tuti – più un capo spirituale che una vera e propria mente organizzatrice, si osserverà poi, visto che era arrivato a Porto Azzurro da troppo poco tempo e non conosceva la struttura al punto da poter organizzare un piano di evasione efficace.

Tuti, membro del Fronte Nazionale Rivoluzionario, aveva dato avvio ai suoi guai con la giustizia uccidendo due poliziotti incaricati di perquisire casa sua. Fuggito al primo arresto, trascorse qualche anno da latitante in Francia prima di essere arrestato. Al processo, fu ritenuto colpevole anche della strage al treno Italicus (1974) che costò la vita a 12 persone.

Ma torniamo a quel 25 agosto 1987. Il gruppo di sei detenuti irruppe armato nella portineria del carcere prendendo in ostaggio il direttore dell’istituto e alcuni agenti: l’obiettivo era quello di rubare un mezzo blindato con il quale evadere.

Questo piano fallì e, per questo motivo, quella che doveva essere una fuga lampo si trasformò in un lungo e agonizzante sequestro che tenne col fiato sospeso l’intera opinione pubblica e il mondo politico – persino il Papa Giovanni Paolo II cercò con le proprie parole di smuovere l’animo dei rivoltosi e spingerli alla resa.

Dopo i tragici giorni di Porto Azzurro, Mario Tuti non tentò più l’evasione né si rese protagonista di atti violenti contro le guardie carcerarie. Diventò un detenuto modello – al punto che, nel 2004, gli fu concesso un regime di detenzione semivigilato che continua ancora oggi: di giorno lavorava presso una struttura che accoglie tossicodipendenti, a sera torna in carcere per trascorrervi la notte.

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Fonte: Ufficio Stampa RAI

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