No al linguaggio pietistico e mai dire “diversamente abile”: la guida per parlare di disabilità in modo inclusivo

L'Agenzia delle Entrate ha stilato una guida per il personale per favorire un linguaggio più inclusivo nei confronti della disabilità

Pubblicata oggi online la guida “Disabilità, iniziamo dalle parole” pensata per promuovere un linguaggio più inclusivo. Starete pensando che si tratta di un’opera di qualche associazione o ente che si occupa di disabilità e invece no – sorpresa – a promuoverla è l’Agenzia delle Entrate.

Le parole sono lo specchio dei nostri atteggiamenti e delle nostre convinzioni e per questo motivo è fondamentale utilizzare quelle giuste. Nessuno vorrebbe essere identificato sulla base della propria disabilità. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sollecita l’adozione di misure atte a combattere gli stereotipi relativi alla disabilità; è pertanto importante fare attenzione ed evitare di utilizzare stereotipi negativi o un linguaggio stigmatizzante.

Con questa citazione, tratta dalle Linee guida interne per una comunicazione inclusiva al SGC Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, inizia la Guida dell’Agenzia delle Entrate, realizzata con il patrocinio del Ministro per le disabilità e che si propone di aumentare la consapevolezza sull’importanza di utilizzare le parole giuste quando si tratta di disabilità.

Ancora troppo spesso, infatti, vi è un problema di atteggiamenti stigmatizzanti o pregiudizi culturali e le parole in questo senso possono fare davvero la differenza e promuovere un cambiamento.

La guida è rivolta in particolare al personale dell’Agenzia ma, come ha dichiarato il direttore Ernesto Maria Ruffini:

Con questa guida vogliamo contribuire alla costruzione di una realtà, non solo interna all’Agenzia, più positiva, equa e partecipata in cui ogni persona possa sentirsi accolta e riconoscersi. A partire proprio dalle parole, che sono la veste dei nostri pensieri.

Suggerimenti

Questi i suggerimenti che si trovano nella guida:

  • Mai identificare una persona con la sua disabilità: bisogna sempre tener presente che ciascuno va considerato prima di tutto per ciò che è, ovvero una persona che non dovrebbe mai essere identificata con la sua disabilità, attraverso etichette che tendono a spersonalizzare.
  • No al termine handicappato: la parola non è sinonimo di deficit o disabilità, piuttosto designa lo svantaggio conseguente al fatto che la società non è progettata a misura di chi ha caratteristiche fisiche, cognitive, psichiche o sensoriali non maggioritarie.
  • La disabilità non è una “patologia” bensì una condizione, che potrebbe essere migliorata se mettessimo a disposizione della persona gli strumenti appropriati. È quindi sbagliato dire “affetto/a da disabilità”, “soffre di…”.
  • Rifuggiamo da un linguaggio compassionevole o pietistico: no ad esempio a “costretto sulla carrozzina”. Piuttosto diciamo persona che usa la carrozzina: la carrozzina è un mezzo per favorire la mobilità e accrescere l’indipendenza. Aiuta, non limita. L’obiettivo di un linguaggio rispettoso e inclusivo è proprio “ricondurre a ordinarietà tutte le caratteristiche umane”.
  • Diversamente abile: facciamo attenzione, è una delle espressioni più contestate nel campo della disabilità, insieme al suo parente prossimo, diversabile.  Come diceva il giornalista Franco Bomprezzi: “Se continuiamo a pensare che la disabilità sia qualcosa di ‘diverso’, addirittura una grande opportunità per sviluppare ‘diverse abilità’, facciamo un grave torto a quei milioni di persone nel mondo che ogni giorno si battono solo per vedere rispettati i propri diritti di cittadinanza alla pari degli altri…
  • I normoabili non esistono: il concetto di normalità è di difficile definizione, le persone con disabilità non sono “non normali”, e ciascuno di noi può sperimentare nella vita una condizione di disabilità
  • Attenzione al termine invalido: Il termine invalido significa letteralmente non‐valido. Nessuno deve essere bollato così per sue caratteristiche fisiche, sensoriali o intellettive
  • Il linguaggio schietto o libero è apprezzato”:  non bisogna avere paura di utilizzare parole più dirette come cieco o sordo, piuttosto che le equivalenti espressioni videolesi, non vedenti, non udenti. Si tratta di termini o perifrasi che cercano di edulcorare le cose ma non cambiano la realtà.
  • Non diciamo più sordomuto: un termine obsoleto, scorretto e che può essere percepito come offensivo. La maggior parte delle persone sorde non ha difetti dell’apparato fono‐articolatorio e se non parla è perché non ha appreso il linguaggio vocale dal momento che non ne conosce il suono e non può quindi riprodurlo con la voce.
  • Le parole sono ponti oppure muri: facciamo attenzione alle parole: a quelle che si usano, ma anche a quelle che non si utilizzano. Le parole rivestono un ruolo importante nella costruzione della realtà in cui ciascuno di noi vive, possono essere ponti, utili a promuovere relazioni positive fondate sul reciproco rispetto ma possono anche essere muri.

Potete scaricare la guida completa QUI.

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Fonte:  Agenzia delle Entrate

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