La casa famiglia degli orrori: bimbi maltrattati e donne vittime di violenza minacciate e umiliate

Bambini strattonati e isolati dopo una marachella, donne vittime di violenza insultate, minacciate e umiliate. Cosa avveniva in una casa famiglia del Lazio

Bambini strattonati e isolati dopo una marachella, donne vittime di violenza insultate, minacciate e umiliate. “Non vali niente, ti tolto i figli, sei una put…”. Ecco cosa avveniva in una casa famiglia del Lazio. La responsabile è stata condannata in primo grado. La nostra intervista in esclusiva (di cui manterremo l’anonimato per questioni di privacy e sicurezza)

Pensavano finalmente di trovare la tranquillità e di essere lontane dall’orco che, per anni, aveva inflitto loro violenza fisica e vessazioni psicologiche. Ma dopo poco tempo, si sono rese conto che in quelle quattro mura di una casa famiglia del Lazio, sarebbe iniziato un altro tipo di inferno. Soprattutto per i loro bambini. Perché la responsabile, adesso condannata in primo grado al termine di un processo seguito dalle avvocate della Cooperativa Be Free a difesa delle donne ospiti della struttura, si era trasformata in quei mariti, fidanzati e compagni violenti dalle quali queste ragazze erano fuggite.

“Non era ammessa la replica o opinioni diverse dalle sue. Volavano minacce, insulti, violenza verbale, ma anche fisica anche nei confronti dei bambini che spesso venivano strattonati”, ci racconta Lucia (nome di fantasia).

Un clima del terrore che le donne ospiti della struttura sottacevano per paura di vedersi togliere i propri bambini che non venivano di certo risparmiati in questa casa “famiglia” dell’orrore. Se un bambino faceva una marachella, veniva isolato un giorno intero in una stanza, poi si passava all’interrogatorio con metodi violenti e coercitivi, sia dal punto di vista psicologico che fisico, continua la donna.

Bambini di appena dieci anni costretti a mangiare avanzi di una trattoria, cibi elaborati e non adatti alla loro età. Persino pasti avariati. Perché se la pasta avanzava, c’era quella anche per tre giorni. Già lontani dalla serenità e vittime di un’infanzia rubata, erano perfino presenti mentre le loro mamme venivano insultate e umiliate in maniera del tutto gratuita.

“Non vali niente, tuo figlio te lo faccio levare, Sei una put…, sei una nullità, la tua famiglia è fatta da delinquenti, era questo il linguaggio usato dalla responsabile”, racconta ancora Lucia.

Parole di fuoco per donne con un passato complesso, difficile, con anni di sofferenza e soprusi alle spalle. Donne che avevano avuto il coraggio di fuggire da chi le violava, dai loro aguzzini. E invece, ogni mattina, ne avevano trovato un altro.

“Tra gli episodi più gravi ricordo quello in cui, ha fatto spogliare nuda una ragazza davanti alle altre e ai bambini, perché la responsabile era convinta che avesse addosso una telecamera nascosta e la stesse registrando”, continua Lucia. E poi via a dispetti, punizioni per tutti. “Non favoriva la collaborazione, metteva zizzania, le ragazze erano una contro l’altra e vivevano con la minaccia costante di essere denunciate ai servizi sociale e di non vedere mai più i figli”. In particolare, ci dice Lucia, la responsabile aveva preso di mira una ragazza. “Non si capisce il perché, ma la rimproverava per ogni cosa, perfino per quello che cucinava al bambino”.

E se, per esempio, qualcuno si era dimenticato di gettare il pattume, la responsabile apriva i sacchetti, gettava tutto a terra e le costringeva a raccogliere i rifiuti dal pavimento.

“E se quei muri potessero parlare, direbbero di centinaia di episodi così, ma il tutto avveniva quando operatrici e psicologhe non erano presenti, così lei pensava di aver creato un muro del silenzio”.

Un piano subdolo e organizzato nei minimi dettagli. Le donne dovevano dipendere da lei, perché per ognuna di loro e per ogni bambino, la responsabile percepiva 80 euro a testa stanziati dal dipartimento del comune. Fino a quando qualcuno si è deciso a parlare e la responsabile è finita in tribunale. Le ragazze si sono lasciate aiutare da alcuni operatrici che avevano già lasciato la struttura proprio per i contrasti sull’operato e la gestione della direttrice. Loro le hanno spinte a denunciare, supportandole dall’esterno. Donne che aiutano le donne.

“E’ con soddisfazione che diamo notizia di una sentenza (di primo grado) che condanna la responsabile di una casa famiglia del Lazio per i reati di maltrattamento ai danni di donne e minori ospiti presso la struttura che gestiva. Una condanna arrivata, possibile grazie al coraggio delle donne ospitate, al ruolo strategico giocato da una assistente sociale, alla sensibilità della giudice e al lavoro della Procura e della squadra mobile di Roma, a cui va tutto il nostro plauso”, scrive la cooperativa Be Free che ha difeso queste donne.

“Troppo spesso la discrezionalità della gestione viene meno agli obblighi minimi, procurando a persone, minori e donne che escono da situazioni dolorose e complicate, ulteriori danni per le loro vite e dunque per l’intero sistema sociale. Accanto a questo c’è indubbiamente il ruolo strategico degli assistenti sociali, a cui vanno dati gli strumenti, ma anche incoraggiata una formazione più puntuale, per svolgere una funzione di controllo su ciò che avviene nella quotidianità delle persone assistite”, scrive ancora.

Adesso queste donne stanno bene, sono finalmente libere grazie al lavoro di operatrici, assistenti sociali e psicologi. Ma, come spiega Be Free, “Non è più concepibile doversi appellare al coraggio, alla buona fede e alla responsabilità di un singolo, che per spirito di servizio decide di denunciare. Occorre entrare nell’ottica che bucare il muro di omertà è un dovere che spetta a tutti gli attori coinvolti a vario titolo in quello che resta un servizio pubblico per nuclei familiari di cui l’intera collettività si deve e si vuole far carico”.

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