In Afghanistan volevano impedire alle ragazze di cantare, ma non ci sono riusciti #IAmMySong

Revocata una controversa legge che avrebbe vietato alle bambine afghane a partire dai 12 anni di cantare in eventi pubblici.

In una lettera del ministero dell’Istruzione afghano, diffusa dai media lo scorso 10 marzo e confermata il giorno successivo dal ministero stesso, era stato annunciato il divieto, rivolto alle studentesse di età pari o superiore ai 12 anni, di cantare in cerimonie pubbliche a meno che l’evento in questione non fosse al 100% femminile. 

Oltre a vedersi negata l’autorizzazione a cantare, le studentesse non avrebbero potuto frequentare lezioni di canto tenute da insegnanti di musica di sesso maschile. I dirigenti scolastici sarebbero stati obbligati a far rispettare le nuove regole in ogni provincia del paese.

Najiba Arian, portavoce del ministero, aveva fatto sapere che la decisione era stata presa in risposta alla richiesta di genitori e studenti, i quali lamentavano numerose difficoltà a concentrarsi sugli studi per dedicarsi alle attività di canto. Tuttavia, il ministero non aveva chiarito perché il provvedimento restrittivo riguardasse esclusivamente le bambine. 

Dopo qualche giorno, sotto la crescente pressione del movimento di opposizione al nuovo provvedimento e, in particolare, grazie al successo della campagna #IAmMySong lanciata su Twitter, il suddetto divieto è stato abolito il 14 marzo. Nell’ambito della campagna, giovani ragazze afghane avevano postato sui social media numerosi video in cui cantavano le proprie canzoni preferite e chiedevano di aderire ad una petizione per annullare il divieto nazionale.

Un déjàvu talebano?

La notizia del divieto era giunta tra i crescenti timori che i Talebani potessero tornare al potere in Afghanistan grazie alla loro partecipazione ai negoziati di pace mediati dagli Stati Uniti.

La Commissione indipendente per i diritti umani dell’Afghanistan (AIHRC) aveva condannato la decisione delle autorità di vietare alle studentesse di cantare in occasione di eventi pubblici, poiché tale provvedimento rischiava di incoraggiare la discriminazione di genere. In un comunicato dell’11 marzo, l’AIHRC aveva spiegato che:

“Qualsiasi restrizione ai diritti e alle libertà dei bambini è contraria ai principi generali dei diritti umani, alla convenzione sui diritti dei minori e alle leggi nazionali dell’Afghanistan.”

Sui social media e nei gruppi di difensori dei diritti umani non sono mancate contestazioni e condanne da parte di coloro che temevano che l’agenda del governo di Kabul si stesse pericolosamente avvicinando all’ideologia talebana.

Tra il 1996 e il 2001, durante il regime fondamentalista talebano, in Afghanistan cantare e ascoltare musica erano attività fuorilegge e i diritti delle donne erano palesemente e sistematicamente violati.

La svolta conservatrice

Nei mesi scorsi, il governo di Kabul ha proposto una serie di provvedimenti di segno conservatore, tra cui una serie di riforme legislative nel settore dell’istruzione e nel diritto di famiglia. Ciò allo scopo di aumentare il consenso interno, ergendosi ad autentico custode della dottrina islamica, dell’identità islamica e dell’educazione islamica nelle scuole.

Infatti, lo scorso dicembre il Ministero dell’Istruzione afghano ha annunciato un progetto di legge che consentirebbe ai bambini in età scolare di studiare in moschea, cioè nelle scuole islamiche, per i primi tre anni di corso.

Come osservato da un giornalista, a vent’anni dall’invasione statunitense dell’Afghanistan e nonostante gli ingenti aiuti umanitari destinati al paese, i bambini della provincia occidentale di Herat sono ancora costretti a frequentare la scuola in classi all’aperto: 

Il rischio maggiore — in parte scampato — è che l’Afghanistan faccia enormi passi indietro per quanto riguarda la tutela dei diritti umani e dei diritti delle donne e delle bambine, con conseguenze sociali e culturali devastanti.

Fonti: Gandhara/The New Arab/Al-Jazeera

 

 

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