Ritorno al lavoro e bambini senza scuola: una situazione incompatibile senza precedenti

E' iniziata la fase 2 e riprendono gradualmente le attività, le scuole però sono chiuse. Un problema per le famiglie che non sanno a chi affidare i bambini

E’ iniziata la fase 2 e, ieri, circa 4 milioni di persone hanno ripreso a lavorare. Queste si aggiungono alle tante altre che in realtà non hanno mai smesso, anche se magari sono in modalità smart working. E i bambini? Ancora una volta non è ben chiaro come una famiglia dovrebbe gestire i propri figli, dato che le scuole sono chiuse, affidarli ai nonni è rischioso e una baby sitter nonostante il bonus (misero per la verità) è molto costosa e non tutti se la possono permettere.

Le scuole e gli asili sono chiusi ma, gradualmente, le attività riprendono. Questa situazione, come è naturale, preoccupa tanti genitori alle prese con la gestione dei figli che, invece, rimarranno a casa fino a settembre. Non è prevista infatti, come al contrario sta avvenendo in diversi paesi europei, la ripresa della scuole prima dell’estate. Ma i genitori come faranno a lavorare? A chi lasceranno i bambini se non hanno nessuno che li aiuta?

Si tratta in pratica di una sorta di emergenza nell’emergenza. Si fa forse affidamento sul fatto che in diverse famiglie nel nostro paese vi è almeno un genitore che non lavora o forse si pensa davvero che il congedo parentale al 50% (si possono chiedere però solo 15 giorni) o il misero bonus babysitter messo a disposizione (450 euro netti mensili per la persona che accudisce i bambini, che aumenta un po’ in caso di personale medico sanitario) siano la soluzione?

E’ ovvio che non può essere così.  Anche le famiglie che possono permetterselo economicamente potrebbero poi non voler assumere una babysitter per diversi motivi: non ne avevano una già prima e non è facile in questo momento trovarla disponibile, non si fidano a fare entrare persone estranee in casa per via dei possibili contagi, ci vorrebbe comunque un tempo di adattamento con i bambini o altro.

Forse le aziende, almeno alcune, saranno più “clementi” con i genitori, concedendogli la possibilità di ridurre o cambiare i turni in base alla propria organizzazione famigliare, o forse mamma e papà dovranno lasciare i propri figli ai nonni? La prima soluzione ovviamente non è sempre attuabile mentre la seconda è addirittura sconsigliata per via dei possibili contagi della categoria più a rischio, quella degli anziani.

Ci sono poi quelli che lavorano in smart working, come noi, un’ottima soluzione penserete voi (ma solo se non avete figli piccoli!). Lavorare da casa non è affatto facile con dei bambini intorno che, ovviamente, richiedono la presenza di mamma e papà e capiscono solo fino ad un certo punto la necessità dei propri genitori di stare concentrati e non poter dedicare loro l’attenzione che meritano.

Non è ben chiaro insomma come fare e ognuno in pratica si arrangia come può. C’è anche concretamente il rischio che si apra uno scenario in cui si evidenzi ancora di più un divario di genere. Detto banalmente: le mamme (più spesso che i papà) potrebbero in questa fase, ma anche successivamente, dover rinunciare al lavoro.

E non è un problema solo italiano, a dire il vero. Come ha dichiarato a El País,Laura Baena, fondatrice del Malasmadres Club, associazione di mamme spagnole:

“La prospettiva della ripresa nelle settimane e nei mesi a venire non è affatto rosea, e le principali vittime saranno le madri, che ora sostengono i ruoli di lavoratrici, badanti e casalinghe”

Il Malasmadres Club ha utilizzato il suo canale Instagram per scoprire la realtà della sua comunità di follower e le molte risposte ricevute sono state divise in tre gruppi: quelle delle madri che hanno scelto di dimettersi, quelle che cercano di continuare in telelavoro e quelle che ricorrono all’aiuto di nonni o nonne.

“Esistono già donne che, dovendo tornare fisicamente al lavoro, chiedono un congedo, una riduzione dell’orario di lavoro e, nel peggiore dei casi, le dimissioni totali dal lavoro. C’è chi non può dimettersi per motivi economici, ma dovrà adattarsi il più possibile per sopravvivere come può”.

In Pesi come l’Italia (e la Spagna), in cui ci si basa strutturalmente sul sostegno della famiglia da parte degli anziani, c’è anche chi, nonostante gli evidenti rischi di contagio, non avrà altra scelta se non quella di coinvolgere nella gestione dei bambini nonni e nonne. L’alternativa è perdere il lavoro.

Come poi scrive giustamente Marina Marzulli su “L’Eco di Bergamoquesta situazione rischia di diventare un “acceleratore di disuguaglianze”:

“ I bambini provenienti da famiglie in condizioni di difficoltà economica e sociale sono quelli che patiranno di più, costretti in case poco confortevoli, spesso senza spazi verdi e senza adulti in grado di farsi carico delle loro esigenze. Che ne è di loro quando il controllo della scuola non c’è, non ci sono neppure gli spazi di aggregazione o lo sfogo del parchetto sotto casa? Chi può permettersi di pagare una tata a tempo pieno potrà tenersi il lavoro. Oppure, chi ha sufficienti risorse finanziare, potrà scegliere di non lavorare. L’occupazione femminile, così preziosa, vitale e spesso malpagata, è in serio pericolo. Non è un problema “solo” di emancipazione e autonomia: con un solo stipendio (ammesso che ci sia e non sia precario) le famiglie con figli piccoli sono a rischio di impoverimento”.

Insomma una situazione difficile da gestire e che ancora troppo spesso rimane in secondo piano rispetto ad altre priorità, che per carità esistono, in merito all’emergenza sanitaria (e non) che stiamo vivendo.

Fonti di riferimento: El País /L’Eco di Bergamo

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