La tribù che protegge l’Amazzonia dalla deforestazione usando anche la tecnologia (VIDEO)

Dopo aver constatato l'inefficacia delle autorità brasiliane nel proteggere la foresta dal disboscamento,i Ka'apor, una tribù amazzonica composta da circa 2.200 persone, hanno deciso di organizzarsi autonomamente e di passare al contrattacco, difendendo la propria terra e fronteggiando i taglialegna illegali con tutti gli strumenti di cui dispongono - tecnologia compresa. Ecco la loro storia.

Dopo aver constatato l’inefficacia delle autorità brasiliane nel proteggere la foresta dal disboscamento, i Ka’apor, una tribù amazzonica composta da circa 2.200 persone, hanno deciso di organizzarsi autonomamente e di passare al contrattacco, difendendo la propria terra e fronteggiando i taglialegna illegali con tutti gli strumenti di cui dispongono – tecnologia compresa. Ecco la loro storia.

Il territorio dei Ka’apor, i cui confini sono stati riconosciuti legalmente dalle autorità brasiliane nel 1982, si estende per circa 530 mila ettari nello stato settentrionale del Maranhão, il più povero del Paese latinoamericano, e in cui il disboscamento selvaggio ha causato, negli ultimi trenta-quarant’anni, la perdita di una parte molto consistente della foresta.

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Gli alberi vengono tagliati per foraggiare il traffico illegale di legname o per lasciare spazio ad estrazioni minerarie, agricoltura e, soprattutto, allevamento, nella più totale e criminale noncuranza per le conseguenze, umane e ambientali, di questa pratica. La foresta amazzonica, infatti, non è solo un inestimabile scrigno di biodiversità e una preziosissima riserva di ossigeno per il Pianeta, ma è anche la “casa” di numerose tribù indigene, che la abitano e rispettano da sempre.

Tra queste, appunto, ci sono i Ka’apor, il cui territorio comprende il 50% della foresta del Maranhão finora sopravvissuta alla deforestazione illegale: legname e terreni che fanno gola a molti, tanto da determinare frequentissime incursioni da parte di squadre organizzate, dotate di camion e trattori, che abbattono gli alberi e fanno razzia di legname.

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I Ka’apor hanno chiesto più volte alle autorità di proteggere i confini del proprio territorio, erigendo dei posti di blocco per controllare gli accessi e ostacolare taglialegna illegali e trafficanti. Non avendo ottenuto risposte, hanno deciso di difendere la propria terra a modo loro: nel 2011 hanno creato una squadra di “guardiani della foresta”, chiamati a contrastare e ad affrontare chi entra nel territorio indigeno per disboscare, e pronti a ricorrere, se necessario, anche al confronto fisico e alla violenza.

I Ka’apor non sono refrattari nei confronti della modernità, ad esempio sanno guidare auto e utilizzare computer, ma il loro obiettivo principale è preservare la propria identità e le proprie tradizioni: per questo, quando devono affrontare a viso aperto chi disbosca, lo fanno con bastoni, archi e frecce, non con pistole e fucili. Le attività dei guardiani consistono solitamente nel confiscare le motoseghe e nel bruciare i camion e i trattori intercettati, avvertendo i loro occupanti di stare alla larga dalla foresta.

Cercando di “riconquistare” il proprio territorio, i Ka’apor smantellano anche i campi-base allestiti nella foresta dai trafficanti di legname e li sostituiscono con nuovi insediamenti della tribù, in modo che i taglialegna non possano farvi ritorno. Creando tali avamposti periferici, la tribù spera di guadagnare terreno e di spingere chi disbosca fuori dalla foresta.

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L’attività dei guardiani della foresta ha determinato una netta diminuzione del numero di alberi abbattuti, ma ha avuto anche conseguenze negative sulla vita dei Ka’apor: molti abitanti dei villaggi hanno ricevuto minacce e ben quattro membri della tribù sono stati uccisi, forse perché ritenuti a capo della lotta contro la deforestazione.

Nel 2014, in tutto Brasile sono stati assassinati 70 indigeni, il 32% in più rispetto al 2013: la maggior parte degli omicidi è collegata proprio a dispute che riguardano la difesa del territorio e coinvolge proprietari terrieri, allevatori e taglialegna illegali.

Come spesso accade quando vengono assassinati degli attivisti che lottano per la foresta e degli indigeni, gli omicidi dei quattro Ka’apor sono rimasti, ufficialmente, senza un colpevole. Ciononostante, la tribù è perfettamente consapevole della mole di interessi economici e di corruzione che si agita dietro a chi penetra nel loro territorio per tagliare gli alberi.

Per questo, diffidando delle autorità locali, ritenute conniventi con chi disbosca, ha deciso di cercare l’appoggio di ONG e media internazionali. Aalcune settimane fa, un gruppo di attivisti e di giornalisti ha potuto visitare il territorio dei Ka’apor e ha avuto modo di documentare la coraggiosa lotta che questo popolo porta avanti quotidianamente per difendere il suo angolo di Amazzonia.

Proprio in quell’occasione, Greenpeace ha donato ai Ka’apor una serie di strumenti da utilizzare per contrastare chi disbosca: si tratta di 11 trappole fotografiche, munite di sensori per cogliere movimento e variazioni di temperatura e scattare immagini di conseguenza, 11 tracciatori GPS e due computer. L’equipaggiamento potrà essere utile per monitorare le attività illegali e produrre prove concrete dei crimini perpetrati nella foresta, diffondendo la consapevolezza del problema tra l’opinione pubblica e costringendo le autorità brasiliane a fare di più.

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La speranza è che l’impegno di questo popolo, sostenuto anche da un pizzico di tecnologia, contribuisca ad accendere i riflettori su temi troppo spesso colpevolmente dimenticati, come la protezione di una foresta che è, o quantomeno dovrebbe essere, patrimonio dell’intera umanità, e il rispetto dei diritti delle trubù indigene.

Lisa Vagnozzi

Photo Credits

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