Stop Wet Market! Ora anche l’Onu chiede il divieto mondiale dei mercati umidi

Contro i mercati cinesi dell'umido scende in campo anche l'Onu che chiede un divieto in tutto il mondo dei wet market dove si macellano animali selvatici.

Ora contro i mercati asiatici dell’umido scende in campo anche l’Onu che chiede un divieto in tutto il mondo dei wet market dove si macellano animali selvatici. A farsi promotrice della richiesta è Elizabeth Maruma Mrema, responsabile ad interim della convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità, che ha spiegato appunto che per evitare future pandemie, si dovrebbero vietare i mercati dove si vendono animali, vivi o morti, destinati al consumo umano.

In un’intervista a The Guardian, Elizabeth Maruma Mrema, usando gli esempi dell’Ebola nell’Africa centro-occidentale e il virus Nipah nell’Asia orientale, ha affermato che ci sono chiari collegamenti tra la distruzione della natura e le nuove malattie.

“Sarebbe bello vietare i mercati che utilizzano animali vivi come hanno fatto alcune città della Cina e altri paesi, spiega. Opinione condivisa anche da Jinfeng Zhou, segretario generale della China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation, che ha invitato le autorità a rendere permanente il divieto sui mercati della fauna selvatica e di non abbassare la guardia su altre malattie come il Covid-19.

“Sono d’accordo che dovrebbe esserci un divieto globale sui mercati umidi, che aiuterà molto nella conservazione della fauna selvatica e nella protezione di noi stessi da contatti impropri con la fauna selvatica”, ha detto Zhou. “Oltre il 70% delle malattie umane proviene dalla fauna selvatica e molte specie sono minacciate dal loro consumo”.

Mrema si dice comunque ottimista sul fatto che, l’uomo prenderà più seriamente, le conseguenze della distruzione del mondo naturale dopo la pandemia per rinegoziare un quadro post 2020 più idonee per la biodiversità.

wet market

©Animal equality

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©Animal equality

“Preservare ecosistemi e biodiversità intatti ci aiuterà a ridurre la prevalenza di alcune di queste malattie. Quindi il modo in cui coltiviamo, il modo in cui utilizziamo i suoli, il modo in cui proteggiamo gli ecosistemi costieri e il modo in cui trattiamo le nostre foreste o rovineranno il futuro o ci aiuteranno a vivere più a lungo “, dice ancora.

“Sappiamo che alla fine degli anni ’90 in Malesia con lo scoppio del virus Nipah, si ritiene che il virus sia stato il risultato di incendi boschivi, deforestazione e siccità che hanno causato il trasferimento dei pipistrelli della frutta, i vettori naturali del virus dalle foreste nelle fattorie di torba. Ha infettato gli agricoltori, che ha infettato altri umani e che ha portato alla diffusione della malattia.

La dichiarazione di Mrema arriva sulla scia di un’altra importante intervento di divieto dei wet market, questa volta dal direttore dell’Istituto Nazionale delle Allergie e Malattie Infettive degli Stati Uniti, Anthony Fauci. “Penso che dovremmo chiudere subito quei wet market. Non so cos’altro deve succedere per farci capire questo fatto”.

Nei giorni scorsi, Animal Equality dopo aver mostrato le immagini shock dei mercati dell’umido aveva lanciato una campagna mondiale che ha già raccolto oltre 200mila firme. Ricordiamo che i “mercati umidi” prendono il nome in parte dal sangue e dai resti degli animali che ne ricoprono il pavimento. In questo tipo di mercati, gli animali vivi convivono con i resti di quelli che vengono uccisi sul posto per i clienti che vogliono mangiare carne appena macellata.

wet market

©Animal equality

©Animal equality

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©Animal equality

La campagna, che è stata lanciata contemporaneamente in 8 Paesi, comprende immagini inedite registrate da Animal Equality durante le ricerche condotte nei wet market di Cina, Vietnam e India, che mostrano animali come cervi, procioni, coccodrilli e cani, che vivono in condizioni non igieniche, soffrono di disidratazione, fame e malattie.
Adesso finalmente anche dall’Onu arrivano delle risposte su questo tipo di mercati, ricordando che proprio da uno di questi a Wuhan, in Cina sarebbe partita la pandemia da coronavirus che sta interessando il mondo.

Chiudiamo per sempre i wet market

“Grazie ai filmati esclusivi girati dagli investigatori nei wet market di Cina, Vietnam e India, possiamo mostrare come gli animali quali cervi, procioni, coccodrilli e cani vivono in gabbie sporche, disidratati, affamati e malati. Questi mercati rappresentano anche una minaccia per la salute pubblica ed è proprio qui che in passato sono nate diverse epidemie, inclusa la SARS. I ricercatori ritengono che anche il COVID-19 abbia probabilmente avuto origine in un wet market di Wuhan, in Cina, mercato noto per il commercio di animali selvatici”, chiosa la petizione.

FIRMA QUI LA PETIZIONE

Fonti: The Guardian/ Convention on Biological Diversity/Animal Equality

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