Granchio blu, perché cucinarlo non è la soluzione all’emergenza

L'emergenza granchio blu non può essere ridotta a un ricettario! Ecco perché la criticità della situazione richiede interventi di tutt'altro genere

Il granchio blu è una specie invasiva che sta mettendo a dura prova numerose regioni italiane minacciando da un lato la biodiversità, dall’altro migliaia di attività sparse sul territorio. Ma cucinarlo non è la soluzione!

Ne è convinto anche il presidente di Cia-Agricoltori Italiani Veneto, Gianmichele Passarini, secondo il quale un’emergenza di tale portata non può essere ridotta a un “ricettario”. Passarini a tal proposito ha dichiarato:

Di certo non si può ridurre un’emergenza di tale portata, che sta mettendo in crisi migliaia di attività, con pesantissime ricadute negative in termini economici, a un ‘ricettario’ nel quale esaltare la bontà del granchio blu. È una mera illusione sperare di sradicare totalmente questa specie nel breve-medio periodo.

Passarini ha inoltre sottolineato il triste ruolo dei cambiamenti climatici nella proliferazione indiscriminata del granchio blu.

Questa specie necessita, per riprodursi, di circa 25 parti per milione di salinità, habitat che a causa della progressiva marinizzazione trova anche nelle aree lagunari, nelle foci e negli estuari dei fiumi. Non più solo al mare!

Nel frattempo, per affrontare l’emergenza il Veneto ha deciso di avviarne il monitoraggio posizionando 300 nasse nelle lagune del Delta del Po per sessanta giorni, in modo da tenere sotto controllo la sua diffusione, verificarne la distribuzione e gli spostamenti. Ci si augura così che la Regione diventi un esempio anche per le altre alle prese con la stessa emergenza.

Il rigoroso programma di monitoraggio, che come specifica “Veneto Agricoltura” sulla propria pagina FB seguirà il protocollo di ARPAV – U.O. Biologia Ambientale e Biodiversità, coinvolge i ricercatori dell’Arpav, in collaborazione con Veneto Agricoltura e l’Università di Padova.

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