Carne da selvaggina: “con le nuove linee guida il rischio una nuova pandemia è dietro l’angolo”

Il 25 marzo sono state approvate le nuove linee guida sull’igiene delle carni di selvaggina selvatica, ma sono troppe le criticità presenti nel documento, a partire dall'assenza di controlli sanitari.

Lo scorso 25 marzo sono state approvate in Italia le “linee guida in materia di igiene delle carni di selvaggina selvatica”, ovvero quelle che provengono dalla caccia e dai piani di abbattimento.

Il documento, adottato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni, nasce con l’obiettivo di regolare il settore, ma in realtà presenta una serie di criticità legate all’igiene e alla salute pubblica, come evidenziato da alcune associazioni animaliste.

A preoccupare maggiormente è l’assenza di controlli e la possibilità che ogni cacciatore possa fungere da vero e proprio wet market nel momento in cui uccide, sventra e poi cede ad altre persone gli animali uccisi, che finiscono sulla tavola senza alcuna ispezione sanitaria.

Le falle presenti nelle linee guida

“In particolare, le linee guida consentono di destinare gli animali uccisi dai cacciatori, nel contesto dell’attività venatoria o di controllo faunistico, all’autoconsumo o direttamente al consumatore finale, o a esercizi commerciali, come ad esempio i ristoranti.” – sottolinea la LAV (Lega Anti Vivisezione), che ha inviato anche una lettera al Ministero della Salute e a al Ministero della Transizione Ecologica per denunciare le falle presenti nelle linee guida.  “A ciò si accompagna la facoltà per le Regioni (e dunque non l’obbligo!) di attuare azioni di monitoraggio degli animali selvatici considerati portatori di zoonosi trasmissibili all’uomo, come ad esempio trichinellosi, echinoccocosi, toxoplasmosi, brucellosi, tubercolosi etc.”

Così, può accadere facilmente che tonnellate di selvaggina, un tipo di carne per sua natura particolarmente esposta a presenza di patogeni e rischi di contaminazione, vengano immesse sul mercato finendo direttamente nel piatto dei cittadini italiani, senza prima essere sottoposte ai controlli igienico-sanitari previsti per la carne proveniente dagli allevamenti. 

“Tradotto in termini estremamente pratici – spiega Massimo Vitturi, responsabile LAV Animali Selvatici – ciò significa che ogni anno milioni di animali cacciati, sventrati e manipolati sul luogo dell’uccisione o in contesti privati, con rischi di diffusione di patogeni, come in veri e propri wet market di casa nostra, finiscono sulle tavole dei cittadini o dei ristoranti, o in esercizi commerciali come macellerie e supermarket, senza reali garanzie per il consumatore. Una vera assurdità per un Paese civile, che si aggiunge al fatto, ancor più inaccettabile, di continuare a consentire una pratica arcaica e crudele come la caccia, derubricando l’uccisione di milioni di animali a semplice sport”.

Poca chiarezza sul consumo personale di selvaggina

caccia

@Mountains Hunter/Shutterstock

Invece, per quanto riguarda il consumo personale di selvaggina, le linee guida non prevedono controlli sanitari puntuali sugli animali uccisi e consumati direttamente dai cacciatori e dai loro conoscenti e familiari, fatta eccezione per una generica “incentivazione” della ricerca di Trichinella. E considerando che in Italia i cacciatori sono circa 500.000, e calcolando anche le persone a loro stretto contatto, ciò significa che circa due milioni di persone sono esposte al rischio di contrarre una malattia zoonotica, diventando a loro volta diffusori esponenziali del patogeno.

Inoltre, le linee guida, consentono al singolo cacciatore di fornire “piccoli quantitativi” di selvaggina direttamente al consumatore finale o agli esercizi commerciali. Solo in questo ultimo caso, ovvero per attività come ristoranti, le Regioni possono (non devono) richiedere l’ispezione post-mortem e comunque ciò avverrebbe soltanto dopo che il cacciatore ha provveduto in autonomia all’eviscerazione e alla gestione della carcassa dell’animale, attività che di per sé comportano rischi di diffusione di malattie.

Infine, le stesse linee guida dispongono che “il capo di selvaggina selvatica grossa, una volta abbattuto, deve essere privato dello stomaco e dell’intestino il più rapidamente possibile e, se necessario, dissanguato”, presupponendo che sia lo stesso cacciatore a farlo sul momento e senza alcun controllo sanitario preventivo.

Il rischio una nuova pandemia è dietro l’angolo

Come fa notare la Lav, un discorso a parte merita il rischio di uno scoppio di una nuova pandemia collegato alla diffusione dell’influenza aviaria.

“Data l’elevata frequenza con cui questi virus vanno incontro a fenomeni di mutazione,” – precisa a tal proposito l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, – “c’è la concreta possibilità che da un serbatoio animale possa originare un nuovo virus per il quale la popolazione umana risulta suscettibile dando modo alla malattia di estendersi a livello globale, provocando quindi una pandemia. Contrariamente alle
normali epidemie di influenza, una pandemia coinvolgerebbe larghi strati di popolazione, non solo quella che
viene definita “a rischio”, ma anche individui giovani e sani.”

Anche le misure introdotte in Italia per il contrasto alla diffusione dell’influenza aviaria, sembrano non tenere in considerazione rischi pandemici, tanto che hanno vietato esclusivamente l’uso venatorio, degli uccelli potenzialmente portatori del virus influenzale, lasciando però piena legittimità all’uccisione dei loro conspecifici migratori, potenzialmente provenienti da aree in cui è stata rilevata la presenza del virus.

Infatti, lo stesso Piano nazionale di sorveglianza per l’influenza aviaria, prevede solamente il controllo degli uccelli trovati morti o di quelli che, secondo i cacciatori, presentano i sintomi dell’influenza aviaria. Tuttavia, da uno studio condotto alcuni anni fa dall’Università di Bologna nel 2010 è emerso che il virus dell’influenza aviaria è stato rilevato nel piumaggio delle anatre, rendendone così possibile la trasmissione anche soltanto limitandosi a maneggiare
l’animale che funge da vettore del patogeno.

“Risulta quindi evidente come le nuove linee guida in materia di igiene delle carni di selvaggina selvatica siano gravemente carenti circa la sicurezza sanitaria e, cosa ancor più grave, rappresentino una sorta di riconoscimento delle prassi venatorie, con piena assunzione di responsabilità istituzionale circa le conseguenze che queste potrebbero comportare dal punto di vista sanitario per tutta la popolazione” denuncia la Lav, che chiede una revisione urgente delle regole e l’inserimento di ispezioni sanitarie da effettuare sui corpi degli animali uccisi, prima che questi entrino in contatto con qualsiasi persona, a partire dagli stessi cacciatori.

Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri/LAV

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