Microplastiche in pesci e animali del Tirreno: la scoperta shock di Greenpeace

Microplastiche negli animali marini, nei pesci e negli invertebrati. Dopo essere state scovate perfino nell'Artico, le microplastiche sono state rintracciate anche negli animali che popolano i nostri mari

Microplastiche negli animali marini, nei pesci e negli invertebrati. Dopo essere state scovate perfino nell’Artico, le microplastiche sono state rintracciate negli animali che popolano i nostri mari.

Lo rivela un nuovo studio condotto dall’Università Politecnica delle Marche, Greenpeace e dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova sulla base dei campionamenti effettuati l’estate scorsa con il tour della Rainbow Warrior “Meno Plastica, Più Mediterraneo”.

Secondo lo studio, la presenza di microplastica è stata documentata in organismi marini che appartenevano a specie diverse e anche con differenti abitudini alimentari. Tutti, nessuno escluso, avevano in qualche modo ingerito i minuscoli e dannosi frammenti di plastica, dalle specie planctoniche agli invertebrati, fino ai predatori.

Viste le loro piccole dimensioni, inferiori ai 5 millimetri, le microplastiche vengono ingerite anche attraverso la filtrazione o mangiando le prede.

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Il rapporto rivela i risultati delle analisi effettuate negli organismi prelevati nel Mar Tirreno e in particolare in Liguria, Toscana, Lazio e Campania. Ad allarmare di più i ricercatori è stato il fatto che tra il 25 e il 30% dei pesci e invertebrati analizzati e presenti nel Mar Tirreno, conteneva microplastiche, confermando la stessa contaminazione presente negli organismi già analizzati nel Mare Adriatico.

“I risultati ottenuti confermano ancora una volta che l’ingestione di microplastiche da parte degli organismi marini è un fenomeno diffuso e sottolineano la rilevanza ambientale del problema dei rifiuti plastici in mare. È urgente quindi che la ricerca scientifica acquisisca nuove conoscenze e contribuisca a sensibilizzare la coscienza di tutti su questa tematica emergente” ha detto Stefania Gorbi, docente di Biologia Applicata alla Università Politecnica delle Marche.

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A Genova, Grosseto, Isola del Giglio, Ventotene e Napoli sono stati analizzati più di 200 organismi marini tra pesci e invertebrati che finiscono poi sulle nostre tavole: acciughe, triglie, merluzzi, scorfani, gamberi e cozze.

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L’analisi ha permesso di individuare anche quali tipi di plastica erano stati ingeriti dagli animali: la maggior parte è fatta di polietilene (PE), ossia il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e dei prodotti usa e getta.

I pesci con la più alta frequenza di particelle di microplastica sono stati trovati intorno all’Isola del Giglio ma va detto anche proprio in quell’area è stato rilevato un generale miglioramento della situazione rispetto al 2014, subito dopo la rimozione della Costa Concordia, quando quasi tutti i pesci campionati contenevano particelle di microplastica.

Un’ulteriore conferma del fatto che anche il Tirreno sia purtroppo ricco di rifiuti e che la plastica che vediamo in mare e sulle spiagge è solo una piccola parte del problema, la punta dell’iceberg.

Ciò che ci preoccupa maggiormente è la rapida evoluzione di questo problema e la graduale trasformazione delle microplastiche in nanoplastiche, particelle ancora più piccole che se ingerite dai pesci possono trasferirsi nei tessuti ed essere quindi ingerite anche dall’uomo, con rischi per la salute ancora sconosciuti”, ha detto Serena Maso, Campagna Mare di Greenpeace. “L’inquinamento marino derivante dalla plastica e dai contaminanti ad essa associati rappresenta un problema enorme su cui serve intervenire subito, partendo dalla drastica riduzione della sua produzione e dall’eliminazione della plastica usa getta e degli imballaggi” dichiara Serena Maso, Campagna Mare Greenpeace.

Per leggere il rapporto “Microplastics in fish and invertebrates along the Tyrrhenian coast” clicca qui

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Francesca Mancuso

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