Caro Monti, il ponte sullo stretto non s’ha da fare. Ecco perché

Le associazioni ambientaliste hanno invitato il Presidente del Consiglio Mario Monti a chiudere definitivamente il progetto per il ponte sullo stresso di Messina e a utilizzare i fondi per la costruzione di infrastrutture

Un appello a Monti affinché accantoni per sempre la possibilità di costruire il . Questa mattina in una conferenza stampa svoltasi a Roma presso il Senato, diverse associazioni ambientaliste hanno invitato il Presidente del Consiglio a rivedere la anche alla luce di un nuovo documento, ben 245 pagine di osservazioni al progetto definitivo, da cui si evincono una serie di carenze progettuali evidenziate da un gruppo di lavoro formato da esperti e docenti universitari.

A lanciare l’appello sono state le associazioni ambientaliste FAI, Italia Nostra, Legambiente, MAN (Associazione Mediterranea per la Natura) e WWF che già qualche giorno fa avevano inviato una lettera a Mario Monti, chiedendogli in qualità di coordinatore del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) di considerare il “progetto definitivo del ponte, a proprio insindacabile giudizio, non meritevole di approvazione”.

Gli ambientalisti aggiungono inoltre che la società Stretto di Messina SpA, la concessionaria pubblica che si è occupata del famigerato ponte, debba recedere “dal contratto pagando solo le spese sino a quel momento sostenute dal General Contractor” ossia “senza che il Contraente generale possa avanzare richieste per il riconoscimento di maggiori compensi e/o pretese”.

Ma chiariamo questo punto. Ciò che le associazioni chiedono è dunque l’abbandono del progetto al fine di evitare quello che definiscono il “ punto di non ritorno che obbligherebbe lo Stato a versare altri 56 milioni di euro per il progetto esecutivo e a pagare penali fino a 425 milioni di euro nel caso dell’avvio anche dei cantieri.

Lo sperpero di denaro connesso al ponte, secondo gli ambientalisti è un plus che lo Stato non può più permettersi, visto che le risorse da impiegare potrebbero essere utilizzate diversamente, ad esempio per gli inteventi di adeguamento e ammodernamento delle infrastutture, della rete autostradale, vedasi Salerno-Reggio Calabria, la rete ferroviaria siciliana e la SS106 Ionica, il cui rilievo, a loro avviso supera di gran lunga la necessità del ponte in grado di collegare la Sicilia alla terraferma.

Inoltre, gli ambientalisti hanno ribadito che l’opera è già stata cancellata lo scorso ottobre dall’Ue, ed in particolare dai dieci corridoi delle Reti transeuropee (TEN-T) di trasporto su cui punta l’Unione Europea entro il 2030. E tutti i motivi riconducono alla mancanca di sostenibilità: impatto ambientale enorme, ma anche inutilità sotto il profilo sociale ed economico per garantire lo sviluppo del Mezzogiorno.

Queste infine le motivazioni segnalate dagli ambientalisti:

  • il progetto manca di un quadro di dettaglio di opere connesse essenziali, quali la stazione di Messina, raccordi ferroviari lato-Calabria);
  • non viene presentato il Piano Economico Finanziario;

  • non viene prodotta un’analisi costi-benefici che giustifichi l’utilità dell’intervento;

  • non è svolta una corretta Valutazione di impatto ambientale;

  • non viene presentata la Valutazione di incidenza richiesta dalla Comunità Europea alla luce delle modifiche compiute, oltre che nelle opere connesse, sulla stessa struttura del ponte tra il progetto preliminare e quello definitivo;

  • non si prendono in considerazione correttamente i vincoli paesaggistici e quelli idrogeologici.

Ma allora su quali fondamenta doveva poggiare il ponte? Quelle attuali sono altrettanto traballanti delle Isole Eolie, che continuano a tremare per via delle scosse sismiche, che non ne vogliono sapere di lasciare in pace la zona del messinese.

Francesca Mancuso

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