Microplastiche, antibiotici e creme solari: il 60% di fiumi e laghi italiani è chimicamente inquinato

Il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato, mentre molti di quelli che lo sono non vengono protetti adeguatamente.

Cosa finisce nelle acque di fiumi e di laghi, ma anche nelle acque marino-costiere e nelle falde sotterranee d’Italia? Di tutto, dai pesticidi agli antibiotici, passando per le microplastiche e perfino le creme solari, molte sostanze e composti chimici che usiamo nel quotidiano vanno dritte ad inquinare i corpi idrici, col risultato che nel nostro Belpaese circa il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato, mentre molti di quelli che lo sono non vengono protetti adeguatamente.

Alla vigilia della Giornata mondiale dell’Ambiente, il dossier di Legambiente H₂O – la chimica che inquina l’acqua fa una sconfortante riflessione sulle sostanze inquinanti immesse nelle nostre acque, con numeri, dati e raccogliendo 46 storie di “ordinaria follia sull’inquinamento industriale delle acque in Italia”.

Su dati del registro E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register), Legambiente calcola che dal 2007 al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni fornite dalle stesse aziende, ben 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei corpi idrici. Con buona pace di natura e biodiversità.

Eppure soltanto qualche settimana, come ricorda la stessa Associazione, il lockdown ci aveva quasi abituato alla vista di acque più limpide. Il motivo fu la chiusura di molte attività e non certo l’attuazione di politiche volte a ridurre gli scarichi inquinanti.

Va da sé, quindi, che il risultato ora sia che con la riapertura l’effetto + praticamente svanito ovunque. Per Legambiente, dunque, la Fase 3 deve almeno imporre una ripartenza diversa. A cominciare delle industrie che continuano a perseguire metodi e attività incompatibili con la tutela dell’ambiente e delle risorse idriche in particolare, come dimostrano casi ancora aperti quali gli sversamenti illeciti nel fiume Sarno, in Campania o quello del bacino padano, area di maggiore utilizzo europeo di antibiotici negli allevamenti, i cui residui si ritrovano nelle acque.

Cosa finisce nelle nostre acque

Non solo le 45 sostanze individuate dall’Ue come prioritarie e rappresentanti un “rischio significativo per l’ambiente acquatico o proveniente dall’ambiente acquatico” (sostanze organiche e metalli pesanti, immesse tramite i processi produttivi o gli impianti di depurazione delle aree urbane), ma anche le migliaia di contaminanticui Legambiente dedica uno speciale capitolo: inquinanti dai potenziali effetti avversi su salute e ambiente stimati in oltre 2.700 in commercio, in gran parte non regolamentati. Tra questi, fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario, pesticidi di nuova generazione, additivi plastici industriali, prodotti per la cura personale, nuovi ritardanti di fiamma e microplastiche.

Sono 130 mila all’anno, invece,le tonnellate di pesticidi usate nella filiera agricola italiana: secondo l’ISPRA, quantità significative di principi attivi e metaboliti di questi fitofarmaci si ritrovano in acque superficiali (67%) e sotterranee (33%), evidenziando la correlazione tra chimica nelle filiere tradizionali e impatti negativi sul sistema idrico. Altro rischio sanitario deriva dai contaminanti nelle attività agrozootecniche: nel 2019 l’Agenzia Europea del Farmaco ha evidenziato un uso di antibiotici sproporzionato nei nostri allevamenti: 1.070 tonnellate all’anno, il 16% dei consumi Ue, con il bacino padano area di maggiore utilizzo europeo.

inquinanti acque

©Legambiente

Il dossier racconta anche casi di acque inquinate spesso ancora aspettano bonifiche e riqualificazioni. Partendo da Porto Marghera in Veneto o dalla Sardegna nella zona industriale di Portoscuso e di Porto Torres, per arrivare in Sicilia, a Milazzo, Gela, Augusta Priolo e Melilli, o la laguna di Grado e Marano in Friuli alla Caffaro di Brescia in Lombardia; e poi ancora dai siti toscani di Piombino, Livorno e Orbetello a quelli marchigiani di Falconara Marittima; dalla Valle del Sacco nel Lazio ai siti pugliesi di Brindisi, Taranto e Manfredonia. E ancora, la Campania, con la Terra dei Fuochi o la contaminazione del lago Alaco in Calabria, quella delle acque potabili dei comuni metapontini in Basilicata, del lago d’Orta in Piemonte o dell’acquifero del Parco Nazionale del Gran Sasso, in Abruzzo.

Fonte: Rapporto Legambiente

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