Ecco come le falene trovano il loro compagno: scoperta la genetica dell’attrazione

I misteri dell’attrazione sessuale sono diventati meno misteriosi per le falene. E' la genetica a far scoccare la “freccia dell’amore”.

I misteri dell’attrazione sessuale sono appena diventati un po’ meno misteriosi, almeno per le falene. Un team internazionale di ricercatori guidato dalla Tufts University (Usa) ha scoperto che è un gene espresso nel cervello della piralide del mais ad “indicargli la sua anima gemella”. È insomma la genetica a far scoccare la famigerata “freccia dell’amore”.

Si dice che l’amore sia (anche) chimica, ma forse sarebbe meglio dire biochimica. Nelle falene – oggi è dimostrato – è letteralmente vero, in quanto l’attrazione scatta tra due geni che in qualche modo comunicano e che indicano la via per l’accoppiamento.

Lo studio pubblicato recentemente integra infatti un precedente sul gene espresso nella ghiandola feromone femminile che determina il segnale da inviare per attirare i maschi. La conoscenza di questa genetica fornirà una migliore comprensione di come si sono evoluti i feromoni delle 160.000 specie di falene.

Il segnale inviato dalle femmine deve ovviamente essere colto dai maschi della stessa specie per garantire che il simile si accoppi con il simile, un meccanismo chiamato accoppiamento assortativo.

La piralide europea (nome scientifico Ostrinia nubilalis) è interessante perché in realtà ne esistono due tipi, chiamati E e Z, che possono accoppiarsi anche “incrociati” con accoppiamenti assortiti all’interno di ogni tipo. Per questo motivo, questa particolare piralide è stata utilizzata come modello di una specie che “può dividersi in due”, sin da quando i due tipi di feromoni furono scoperti per la prima volta 50 anni fa.

Ciò significa che ora sappiamo – a livello molecolare – come il matchmaking chimico aiuta la formazione di nuove specie – spiega Erik Dopman, coautore del lavoro.  Cambiamenti genetici simili alla preferenza dei feromoni potrebbero aiutare a spiegare perché e come decine di migliaia di altre specie di falene rimangono distinte”.

I ricercatori hanno anche scoperto che le femmine possono variare i loro segnali nella miscela di feromoni che producono, mentre la preferenza nel maschio è guidata da una proteina che cambia i circuiti neuronali del loro cervello alla base del rilevamento In altre parole le femmine possono “guidare” la risposta neuronale dei maschi, inducendoli a “prenderle in considerazione”.

piralide del mais accoppiamento geni

©Michael Siluk/123rf

La preferenza per un particolare cocktail di feromoni è determinata da una qualsiasi delle centinaia di varianti trovate all’interno di un particolare gene del maschio. Probabilmente determinano la quantità di proteina prodotta, che a sua volta influenza i circuiti neuronali che vanno dalle antenne al cervello.

I ricercatori sono stati persino in grado di determinare le differenze anatomiche nel maschio, inclusa la portata dei neuroni sensoriali olfattivi in ​​diverse parti del cervello della falena, e di collegarli alla loro attrazione per le femmine E o Z.

piralide del mais accoppiamento geni

©Nature

Questa è la prima specie di falena su 160.000 in cui sono stati identificati i geni di segnalazione femminile e di preferenza maschile – riferisce Astrid Groot, che ha anche contribuito a identificare il gene che controlla la differenza dei feromoni nelle femmine E e Z. Questo ci fornisce informazioni complete sull’evoluzione della scelta del compagno e un modo per misurare quanto queste scelte siano legate all’evoluzione dei tratti e delle popolazioni”.

Solo una curiosità scientifica? Come (quasi) sempre, no.

La capacità di prevedere l’accoppiamento potrebbe infatti anche aiutare a controllare la riproduzione negli insetti parassiti. La piralide europea è infatti un parassita importante per molte colture agricole, non solo del mais.

E capire come se, per esempio, le specie E e Z potrebbero generare nuove mutazioni sarà di fondamentale importanza per agire sulle colture. Sperando che si faccia con metodi naturali e non invasivi.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.

Fonti: Eurekalert / Nature

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