La COP28 si avvicina, cosa dobbiamo aspettarci

A due settimane dall’inizio della COP28 di Dubai, l’ONU analizza i piani attuali di decarbonizzazione dei Paesi membri e li giudica insufficienti. “L’abisso tra necessità e azione è più minaccioso che mai”, tuona Guterres. E intanto permane sulla prossima la prossima conferenza sul clima l’ombra lunga delle compagnie petrolifere

Sono i famosi Contributi determinati a livello nazionale (i Nationally Determined Contributions o Ndc) e abbiamo imparato a conoscerli ormai sin dai tempi degli Accordi di Parigi: si tratta degli obiettivi climatici che i vari Stati si sono prefissati, autonomamente e volontariamente, per contribuire a tenere la crescita della temperatura globale entro i 2 gradi. Cosa è stato fatto? Proprio nulla e quello che possiamo aspettarci dalla prossima Conferenza della parti è ben poca roba.

Proprio a poco più di due settimane dalla COP28 e dopo pochi giorni un accordo storico tra USA e Cina, in un ultimo rapporto l’Onu analizza proprio i piani climatici che i 195 Paesi hanno siglato, inclusi 20 Ndc nuovi o aggiornati presentati fino al 25 settembre 2023. Ebbene, i piani nazionali di azione per il clima rimangono insufficienti per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Sostanza? Siamo punto e a capo.

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Il motivo? Praticamente è certo, numeri alla mano, che le emissioni globali di gas serra dovrebbero ridursi del 45% entro la fine di questo decennio rispetto ai livelli del 2010, per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius, ma che, tuttavia, le emissioni sono destinate ad aumentare del 9%.

Il rapporto

Nel documento si analizzano i piani nazionali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di 195 Paesi dell’accordo di Parigi, rilevando che, se le Nazioni dovessero rispettare i nuovi contributi, gli impegni attuali potrebbero far aumentare le emissioni di circa l’8,8% rispetto ai livelli del 2010.

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©ONU

Bene ma non benissimo, se si considera che nello scenario precedente la percentuale era del 10,6% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010. Entro il 2030, quindi, le emissioni saranno del 2% inferiori ai livelli del 2019, un miglioramento piccolissimo.

Secondo il rapporto, affinché si raggiunga il picco delle emissioni prima della fine del decennio, “è necessario implementare gli elementi condizionali degli NDC, che dipendono principalmente dall’accesso a maggiori risorse finanziarie, dal trasferimento delle tecnologie, dalla cooperazione tecnica e dalla disponibilità di meccanismi basati sul mercato”.

Un obiettivo che potrebbe essere raggiunto anche attraverso la cessazione degli investimenti all’industria fossile, cosa assai poco probabile se si considera che il summit di Dubai di fine novembre sarà presieduto dall’amministratore delegato di una compagnia petrolifera.

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©ONU

Quanto ai gas serra, il report fa riferimento agli NDC dell’aprile 2016, evidenziando i progressi fatti dai nuovi programmi nazionali: tenendo conto della totale implementazione di questi ultimi, complessivamente i GHG nell’atmosfera dovrebbero ammontare a circa 53,2 gigatonnellate di CO2 equivalente nel 2025 e 51,6 nel 2030, in una forbice che va rispettivamente tra 51.6–54.8 e 48.3–54.8.

QUI trovi il rapporto di sintesi dei contributi determinati a livello nazionale del 2023.

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©ONU

C’è poi un secondo rapporto delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sulle strategie di sviluppo a basse emissioni a lungo termine, che ha esaminato i piani dei Paesi per la transizione verso emissioni nette pari a zero entro o intorno alla metà del secolo. Il rapporto indica che le emissioni di gas serra di questi Paesi potrebbero essere inferiori di circa il 63% nel 2050 rispetto al 2019, se tutte le strategie a lungo termine saranno pienamente attuate in tempo.

Le attuali strategie a lungo termine (che rappresentano 75 parti dell’accordo di Parigi) rappresentano l’87% del PIL mondiale, il 68% della popolazione mondiale nel 2019 e circa il 77% delle emissioni globali di gas serra nel 2019. Questo è un segnale forte che il il mondo sta iniziando a puntare a zero emissioni nette.

Secondo il rapporto, tuttavia, molti obiettivi net-zero rimangono incerti e rinviano al futuro le azioni cruciali che devono essere intraprese ora.

QUI trovi il rapporto di sintesi sulle strategie di sviluppo a basse emissioni a lungo termine del 2023.

Uno scenario confortato (ma non troppo) dall’accordo storico tra Cina e Stati Uniti

Stati Uniti e Cina sosterranno concretamente il settore delle rinnovabili per dire addio sempre di più allo sfruttamento di combustibili fossili. In vista proprio della COP28, le due superpotenze si sono così impegnate, in un accordo che passerà alla storia, a triplicare la capacità globale di energia pulita entro il 2030, sostituendo il carbone, il petrolio e il gas (uno degli aspetti principali delll’intesa è l’impegno della Cina a stabilire obiettivi di riduzione per tutte le emissioni di gas serra, anidride carbonica, ma anche metano e ossido di azoto).

COP28 e accordo USA/Cina sono tra loro connessi, non fosse altro che John Kerry, inviato per il clima di Biden, e il omologo cinese, Xie Zhenhua, rappresentanto un ruolo fondamentale nel dibattito globale sulle politiche climatiche.

Ma questo basta perché la COP28 si riveli (finalmente) un successo per il futuro del Pianeta o è soltanto fumo negli occhi?

Ahinoi molto probabile, se non tralasciamo il punto fondamentale: il vertice ONU sul clima di Dubai non può non suscitare parecchie perplessità, dal momento che sarà ospitato dagli Emirati Arabi, tra i più grossi esportatori di petrolio e gas. Al pari della COP27 e della altre Conferenze della Parti rischia di rimanere un buco nell’acqua: riuscirà a dare una risposta concreta alle comunità che già subiscono gli impatti più gravi della crisi climatica in termini di finanziamenti per interventi di mitigazione e di adattamento, ma anche in termini di perdite e danni causati dagli eventi estremi?

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Fonte: ONU

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