Perché è fondamentale fermare le estrazioni minerarie nei fondali marini

Le estrazioni minerarie si stanno spostando sui fondali marini, e questa è l’ennesima minaccia per la biodiversità. Lo scorso giugno l'Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) ha bloccato i permessi ed escluso qualsiasi attività mineraria per tutto il 2023 grazie soprattutto alla pressione di 36 Istituzioni finanziarie, tra cui l'italiana Etica Sgr, ma la partita potrebbe riaprirsi nel 2024.

Le estrazioni minerarie nei fondali marini sono la nuova frontiera mineraria e l’ennesima minaccia per la biodiversità. Negli ultimi anni gli scienziati hanno lanciato l’allarme: il Deep Sea Mining danneggia i delicati ecosistemi oceanici, minacciati dall’inquinamento e dalle conseguenze della crisi climatica. A giugno 2023 l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) ha bloccato i permessi ed escluso qualsiasi attività mineraria per tutto il 2023, ma non è finita.

Cos’è l’estrazione mineraria in acque profonde e perché è pericolosa per l’ambiente?

Il Deep Sea Mining è l’estrazione mineraria nei fondali oceanici (al di sotto di 200 metri), ricchi di metalli e altri materiali necessari per la produzione di prodotti ormai indispensabili per le economie avanzate, tra cui anche quelli per la transizione energetica, come pannelli solari e turbine eoliche.

Secondo le compagnie minerarie, il processo è meno dannoso per l’ambiente dell’estrazione mineraria terrestre. Ma, come riferisce l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l’estrazione mineraria in acque profonde potrebbe danneggiare gravemente la biodiversità e gli ecosistemi marini, e tutto questo – cosa ancora più grave – in assenza di sufficienti conoscenze e mezzi per attuare le protezioni. Gli effetti collaterali di queste attività di estrazione in fondo al mare, insomma, sono decisamente più impattanti di quanto dichiarato.

In particolare, secondo gli esperti il Deep Sea Mining può :

  • alterare fino a distruggere gli habitat delle profondità marine, con perdita irreversibile di specie, molte delle quali non si trovano da nessun’altra parte, e frammentazione o perdita della struttura e della funzione dell’ecosistema;
  • sollevare sedimenti fini sul fondale marino, che potrebbero far disperdere particelle per centinaia di chilometri, influenzando così specie commercialmente importanti o vulnerabili (ad esempio, soffocando gli animali nonché interferendo con la loro comunicazione visiva);
  • colpire direttamente specie come balene, tonni e squali con il rumore, le vibrazioni e l’inquinamento luminoso causato dalle attrezzature minerarie e dalle navi di superficie, nonché da potenziali perdite e sversamenti di carburante e prodotti tossici.

Cosa sta accadendo?

A settembre 2021 al vertice dello IUCN è stata adottata la prima moratoria storica contro l’estrazione mineraria in acque profonde: 81 governi hanno votato la moratoria, sostenuta anche da oltre 500 ONG, 18 si sono opposti e 28 si sono astenuti dal voto. Ma, appunto, non si trattava di un divieto definitivo.

A giugno 2023 l’Organismo di vigilanza delle Nazioni Unite ha poi rinviato nuovamente al 2024 la pratica: il Council of the International Seabed Authority (ISA), tuttavia, pur avendo escluso qualsiasi permesso immediato per l’inizio dell’attività mineraria, ha mantenuto aperta una scappatoia legale che potrebbe consentirne l’inizio l’anno prossimo.

Tale scappatoia è nota come ‘Regola dei due anni’, in base alla quale il Consiglio ISA deve considerare e approvare provvisoriamente le richieste due anni dopo la loro presentazione, indipendentemente dal fatto che abbia finalizzato i regolamenti o meno. E questo, effettivamente, non è avvenuto.

Questa regola è stata già chiamata in causa da una compagnia mineraria a luglio 2021, ma, sebbene il termine sia scaduto, non sembra sia poi pervenuta alcuna richiesta per iniziare l’attività mineraria.

Ma è evidente che questa scappatoia potrebbe davvero essere il “tallone di Achille”: se infatti una richiesta per un “piano di lavoro” fosse effettivamente ricevuta prima della finalizzazione della regolamentazione mineraria, l’ISA potrebbe applicarla “in via prioritaria”.

Non possiamo abbassare la guardia

La partita, evidentemente, è tutt’altro che chiusa. Per questo Etica Sgr, alla luce delle preoccupazioni scientifiche sull’approvazione delle concessioni, ha sottoscritto il Global Financial Institutions Statement to Governments on Deep Seabed Mining, iniziativa firmata anche da altre 35 Istituzioni finanziarie che rappresentano insieme più di 3,3 trilioni di euro di asset in gestione.

Il documento, in particolare, è un Investor Statement rivolto all’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), in cui si esortano i governi a proteggere gli oceani dicendo no all’estrazione in acque profonde fino a quando i rischi ambientali, sociali ed economici non saranno stati compresi a fondo e le alternative non saranno state completamente esplorate.

“L’attuale situazione climatica ci impone la massima cautela nel prendere decisioni sull’estrazione di minerali dai fondali oceanici sotto i 200 metri, che costituiscono oltre il 95% della biosfera del pianeta – riferisce Aldo Bonati, Stewardship and ESG Networks Manager di Etica – In coerenza con l’impegno preso nel 2020 da Etica a supporto del Finance for Biodiversity Pledge, crediamo sia prematuro iniziare un’attività così impattante sull’ambiente e sul clima”.

Ci sono davvero altri modi per ottenere i minerali di cui abbiamo necessità anche per la transizione energetica. Non ci bastano le moratorie, stop a scappatoie legali che possano di fatto dare il via libera ad un altro modo di distruggere gli ecosistemi e la biodiversità.

“Etica ritiene che vadano ricercate soluzioni che comportino un minor utilizzo delle risorse, lavorando per ridurre i consumi, aumentare l’efficienza dell’utilizzo delle materie a disposizione, e in ottica di un’economia circolare”.

L’attenzione sul tema resta alta.

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