Doha 2012: rinnovato il protocollo di Kyoto, ma la strategia a lungo termineun fallimento

Doha 2012, è calato il sipario sui negoziati sul clima. Sul tabellone finale è stata segnata la sconfitta. La partita per limitare le emissioni inquinanti è stata praticamente persa a tavolino, visto che la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, nonostante l'ultimatum della scienza, non è riuscita a centrare gli obiettivi che si era prefissata


Doha 2012, è calato il sipario sui negoziati sul clima. Sul tabellone finale è stata segnata la sconfitta. La partita per limitare le emissioni inquinanti è stata praticamente persa a tavolino, visto che la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, nonostante l’ultimatum della scienza, non è riuscita a centrare gli obiettivi che si era prefissata.

I rappresentanti dei 194 paesi che hanno partecipato ai negoziati che si sono appena svolti in Qatar hanno sì rinnovato l’impegno al rinnovo del protocollo di Kyoto, in scadenza il 31 dicembre, ma di fatto non hanno raggiunto altri risultati. A Doha è stato concordato un calendario preciso verso l’adozione di un accordo universale sul clima entro il 2015 ed è stato concordato un percorso per aumentare l’impegno per rispondere ai cambiamenti climatici. In pratica, teoria.

Sebbene i governi abbiano concordato di lavorare “rapidamente” verso un accordo universale sui cambiamenti climatici che coinvolga tutti i paesi a partire dal 2020, da adottare entro il 2015, tale risultato è solo una goccia nel mare. È una storia già sentita. Si, è vero, il protocollo di Kyoto è stato esteso fino al 2020, ma sono davvero pochi i paesi che hanno confermato la disponibilità a prendere accordi vincolanti. Oltre l’80% dei paesi partecipanti si è rifiutato di farlo. Tra i primi c’è l’Unione Europea. Tra i cattivi Canada, Russia, Cina, Brasile, India.

Ed ecco in sintesi cosa è stato decisio a Doha. Il Protocollo di Kyoto, l’unico accordo esistente e vincolante in base al quale i paesi sviluppati si impegnano a riduzione i gas a effetto serra, è stato modificato in modo da essere valido anche a partire dal 1° gennaio 2013. I governi hanno poi deciso che la durata del secondo periodo sarà di 8 anni. I paesi che stanno assumendo altri impegni nel quadro del Protocollo di Kyoto hanno accettato di rivedere i propri impegni di riduzione delle emissioni al più tardi entro il 2014, al fine di aumentare i loro rispettivi livelli di “ambizione”. – Australia, UE, Giappone, Liechtenstein, Principato di Monaco e Svizzera hanno dichiarato che non intendono rimettere in gioco eventuali crediti di emissioni di negoziazione in eccedenza nel secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto. Dal canto loro, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca e Svezia hanno annunciato impegni finanziari concreti a Doha fino alla fine del 2015, per un totale di circa 6 miliardi di dollari.

Il segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), Christiana Figueres, ha invitato i paesi ad attuare rapidamente ciò che è stato concordato a Doha in modo che le temperature del pianeta possano rimanere al di sotto dei due gradi concordati a livello internazionale. “Ora c’è molto lavoro da fare. Doha è un altro passo nella giusta direzione, ma abbiamo ancora una lunga strada davanti. La porta di rimanere al di sotto di due gradi è socchiusa. La scienza lo dimostra, i dati lo dimostrano“, ha detto Figueres.

Appena uno spiraglio, che ha lasciato con l’amaro in bocca i rappresentanti delle associazioni ambientaliste presenti in Qatar. A partire dal WWF, secondo cui alcuni paesi sviluppati hanno addirittura bloccato i negoziati facendo passi indietro rispetto ai loro impegni precedenti. E la cosa peggiore è che era solo una manciata di paesi, ossia la Polonia, la Russia, il Canada, gli USA e il Giappone. Dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima Energia del WWF Italia: “La cartina di tornasole di questi negoziati erano: effettivi tagli delle emissioni;, impegni finanziari concreti e reali contro il cambiamento climatico, e la base per un nuovo accordo globale sia ambizioso che equo entro il 2015. Invece abbiamo avuto un accordo vergognosamente debole, talmente lontano dalla scienza che dovrebbe sollevare questioni etiche in chi ne è responsabile.

Ma la speranza non è per nulla finita. Le comunità e le persone colpite dal cambiamento climatico vogliono sicurezza, disponibilità di cibo e acqua, energia pulita, si oppongono a progetti “sporchi” come il carbone a livello globale, e chiedono un cambiamento reale. Qui a Doha, per la prima volta nella storia, le persone hanno marciato per chiedere una vera leadership per affrontare il cambiamento climatico” ha detto Midulla.

Dello stesso avviso anche Legambiente. “È tutta in salita la strada tracciata a Doha per la transizione verso un nuovo accordo globale da sottoscrivere entro il 2015 per essere poi operativo dal 2020, come già concordato a Durban lo scorso anno. I governi non sono stati in grado di mettere in campo quella volontà politica indispensabile per colmare con impegni concreti il preoccupante gap esistente (8-13 Gt di CO2 secondo il recente rapporto dell’UNEP) tra gli impegni di riduzione assunti sino ad ora dai diversi paesi e la riduzione di emissioni indispensabile entro il 2020 per rientrare nella traiettoria di riscaldamento del pianeta non superiore almeno ai 2°C”.

Un primo segnale forte – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile Clima e politiche europee di Legambiente- deve venire da una profonda revisione della Strategia energetica nazionale che invece di puntare decisamente alla riduzione del consumo e delle importazioni di fonti fossili, propone addirittura un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, individuando sia per l’efficienza energetica che per le fonti rinnovabili, strategie generiche e strumenti inadeguati a raggiungere gli obiettivi previsti. A questo si aggiungono i 9 miliardi di sussidi alle fonti fossili che ogni anno vengono elargiti a petrolio, carbone, gas e autotrasporto nel nostro paese. Il ministro Clini si impegni concretamente affinché il governo italiano li cancelli e cambi subito strada sulla politica energetica del nostro paese”.

Ancora più duro il commento di Greenpeace, che tramite Kumi Naidoo, direttore esecutivo, ha inviato un appello ai politici: “Oggi chiediamo ai politici di Doha: di quale pianeta sei? Chiaramente non il pianeta dove la gente muore a causa di tempeste, inondazioni e siccità. Né il pianeta dove le energie rinnovabili sono in rapida crescita”.

L’incapacità dei governi di trovare un terreno comune di lotta contro una minaccia comune è inspiegabile e inaccettabile. Sembra che i governi stiano mettendo l’interesse nazionale a breve termine prima della sopravvivenza globale a lungo termine“.

La prossima grande conferenza sul clima delle Nazioni Unite, Cop19 si svolgerà a Varsavia, in Polonia, alla fine del 2013. Fino ad allora staremo ancora col fiato sospeso, almeno per non respirare i veleni.

Francesca Mancuso

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