Latte d’avena VS latte di mandorle: qual è la bevanda vegetale più sostenibile?

Tra le alternative vegetali al latte qual è la più sostenibile e con il minor impatto ambientale? Meglio il latte d'avena o quello di mandorle?

Le bevande vegetali sono un’ottima alternativa per chi non può o non vuole consumare latte vaccino. Tra le varietà più apprezzate vi sono indubbiamente il latte di mandorle e quello d’avena? Ma quanto pesano sull’ambiente e qual è la scelta più sostenibile?

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Per misurare l’impatto ambientale di una bevanda vegetale bisogna considerare una serie di fattori: dove cresce la coltura, quanto spazio richiede, quanta acqua utilizza, la sua dipendenza da sostanze chimiche, le emissioni generate dalla coltivazione, la produzione, il trasporto e così via. È un’equazione molto complessa che raramente produce risultati chiari e univoci.

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Tuttavia, è importante capire come i processi agricoli influenzino il pianeta. Mettiamo quindi insieme una serie di dati scientifici che abbiamo a disposizione per vedere quanto e come “pesano” sull’ambiente il latte d’avena e il latte di mandorla.

Impatto ambientale del latte d’avena

Il latte d’avena è diventato negli ultimi anni sempre più popolare, considerate che nel 2020 negli Stati Uniti ha superato il latte di soia e si è aggiudicato il secondo posto tra le bevande vegetali più consumate (primo è il latte di mandorla).

La sua produzione presenta diversi vantaggi: il cereale da cui si ricava cresce in tutto il mondo dalla Russia all’Australia, dal Canada alla Spagna e ovviamente all’Italia; è poco costoso, fa bene al suolo e richiede poche risorse rispetto alla coltivazione di altri cereali.

E in quanto ad uso dell’acqua?  Per produrre 4,5 litri di bevanda all’avena servono circa 49 litri d’acqua, ma da questo conteggio è esclusa l’acqua utilizzata per trasformare poi effettivamente l’avena in latte.

Per produrre qualsiasi alternativa al latte, l’acqua viene infatti mescolata con un ingrediente principale (che sia un cereale, un legume o una noce). Sia per il latte di avena che di mandorle, quel rapporto è di circa una tazza di avena o mandorle per quattro tazze d’acqua.

In merito all’uso del suolo, l’avena è un cereale che cresce su lunghi steli in campi aperti. La particolarità della coltivazione dell’avena è che la terra può essere utilizzata per altre colture quando l’avena non è di stagione. Questo processo è chiamato rotazione delle colture e non solo permette di utilizzare la terra per tutto l’anno (eliminando così la necessità di disboscare per avere più spazio per l’agricoltura), ma ha anche dimostrato di migliorare la qualità del terreno. La rotazione delle colture aumenta infatti i nutrienti e aiuta a combattere l’erosione. Inoltre l’alternanza tra radici profonde e superficiali aiuta a stabilizzare il terreno e il costante cambiamento scoraggia i parassiti e le malattie.

Un altro grande vantaggio dell’avena è che può crescere in una vasta gamma di ambienti e tipi di terreno. E dato che cresce un po’ ovunque, ciò significa che non deve viaggiare a lungo per raggiungere le tavole dei consumatori. Ogni Paese può consumare principalmente l’avena del proprio territorio, il che impedisce l’emissione di gas serra dovuti al trasporto.

I dati compilati dalla Climate School della Columbia University mostrano che il latte di avena ha l’impronta di carbonio complessiva più bassa rispetto al latte di mucca, al latte di mandorle e a quello di soia.

In quanto a sostanze chimiche utilizzate sulle coltivazioni, i dati relativi agli Stati Uniti forniti dall’USDA nel 2015 hanno mostrato che i fertilizzanti sono stati applicati al 76% degli acri esaminati nei 13 principali Stati produttori di avena. Gli erbicidi sono stati applicati al 51% degli acri piantati, i fungicidi al 9% e gli insetticidi al 4%.  Le sostanze chimiche sono ancora purtroppo onnipresenti nelle coltivazioni e rappresentano gravi rischi per gli ecosistemi colpiti.

Un problema che riguarda tutto il mondo, come sappiamo e come hanno dimostrato anche recenti test sui fiocchi d’avena che, non a caso, hanno trovato tracce di molti pesticidi nei campioni analizzati. Leggi anche: Fiocchi di avena a confronto: quasi la metà contengono pesticidi, micotossine o nichel. Tra i peggiori quelli di Lidl

Impatto ambientale del latte di mandorle

Il latte di mandorla piace molto ai consumatori per il suo gusto ma anche per le caratteristiche nutrizionali. Tuttavia, dal punto di vista della sostenibilità è spesso criticato per il grande consumo di acqua che richiede e per il fatto che le mandorle crescono solo in alcune zone, in California per quanto riguarda gli Stati Uniti e in Italia principalmente in Sicilia e in Puglia (39%), anche se potenzialmente nel nostro Paese si potrebbero coltivare a qualsiasi latitudine. (Come e perché l’ossessione per il latte di mandorle sta uccidendo api in California)

Rispetto all’avena e a molte altre colture utilizzate per realizzare bevande vegetali, le mandorle richiedono una quantità d’acqua sorprendente. Gli alberi che le producono hanno bisogno di circa il doppio della quantità d’acqua necessaria all’avena. Ciò equivale ad oltre 4900 litri d’acqua per ogni chilo di mandorle prodotto.

Inoltre, poiché crescono solo in ambienti caldi e a bassa umidità, gran parte di quell’acqua è “blu”. A differenza dell’acqua “verde”, che proviene dalla pioggia, l’acqua blu proviene dai fiumi e dai bacini idrici sotterranei. In California, dove viene coltivato l’80% delle mandorle del mondo, il terreno è gradualmente sprofondato di quasi 30 piedi nel corso dell’ultimo secolo a causa dell’esaurimento delle falde acquifere sotterranee.

Per quanto riguarda l’uso di suolo, sebbene i mandorleti occupino un po’ meno spazio dei campi di avena, bisogna considerare che quest’ultima viene generalmente ruotata ogni anno per fare spazio ad altre colture mentre i mandorli vivono circa 25 anni e devono essere curati tutto l’anno. Tale monocoltura non offre alcuna opportunità per l’equilibrio ecologico o la biodiversità.

In quanto ad emissioni di gas serra, le coltivazioni di mandorle ne generano leggermente meno rispetto a quelle d’avena.  La School of the Environment della Yale University afferma che la coltivazione delle mandorle ha persino il potenziale per essere carbon-neutral o carbon-negative perché i coprodotti dell’industria delle mandorle (bucce, gusci, ecc.) sono preziose fonti di energia rinnovabile e possono essere usati come mangimi. Inoltre, i mandorli immagazzinano temporaneamente carbonio durante tutto il loro ciclo vitale.

Tuttavia, va notato che le emissioni del post-produzione (in particolare del trasporto di mandorle nel mondo), non sono incluse nella cifra ampiamente accettata come impronta di carbonio di questa frutta secca.

Oltre al problema principale del consumo di acqua, la seconda più grande critica ambientale all’industria delle mandorle è la sua dipendenza da pesticidi e fertilizzanti. Il mandorlo ha bisogno di un costante rifornimento di azoto per prosperare e lo riceve attraverso fertilizzanti che filtrano nel suolo e inquinano le acque sotterranee.

Inoltre, i mandorli sono suscettibili alle malattie e alle invasioni di parassiti e uno dei modi migliori per proteggerli è appunto l’utilizzo di fitofarmaci.

Dai dati presentati non sembra ci sia alcun dubbio: il latte d’avena è più sostenibile del latte di mandorla.

Potete approfondire l’impatto ambientale delle bevande vegetali in questo articolo: Bevande vegetali alternative al latte: quale la migliore dal punto di vista ambientale?

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Fonte: Climate School della Columbia UniversityFAO / NRCS / Ecological Indicators

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