Deforestazione: nuovo “patto col panda” nelle foreste africane?

Nuove ombre incombono sull'associazione del Panda. Dopo la tempesta scatenata dal documentario tedesco Der Pakt mit dem Panda (Il patto con il panda), la rete si movimenta ancora per smascherare la collusione dell'associazione, paladina della difesa e della protezione dell'ambiente, con progetti imprenditoriali che contribuiscono, al contrario, a distruggere la natura.

Dopo le foreste tropicali asiatiche, è il turno delle foreste africane del Camerun, più precisamente quelle nei pressi del Parco Nazionale di Lobekè, protagoniste di una ennesima presunta campagna di greenwashing. Come a dire, cambia continente, ma i dubbi restano gli stessi: il WWF contribuisce indirettamente alla deforestazione africana?

Sembrerebbe proprio di sì. Come? Avviando una partnership con la Vasto Legno, “una delle più grandi aziende europei specializzata in legname africano”, si legge nel sito, con sedi a Milano e Vasto (Chieti). E complice, aggiungiamo noi, del taglio delle ultime foreste vergini africane e della distruzione degli ultimi popoli pigmei, in quanto unico importatore del legno ricavato dalla deforestazione, spesso illegale, operata in Camerun dalla sussidiaria Sefac (Société d’Exploitations Forestières et Agricoles du Cameroun). Nonché sanzionata per tagli illegali e abusi sulle popolazioni locali e sui propri dipendenti.

Ma sui siti delle aziende in questione campeggiano in bella vista i loghi delle certificazioni (in particolare FSC) e delle partnership avviate, mentre questa è l’immagine che l’associazione del Panda lascia emergere sul sito Imprese per le foreste: “VASTO LEGNO è presente sul mercato internazionale del legname dal 1870 –scrive il Wwf- ed è impegnata da sempre in ricerche costanti e mirate nel settore, arrivando ad acquisire una risonanza che l’ha portata a espandersi in Africa, Europa e Asia”. “La collaborazione istituita col Gruppo SEFAC –continua la descrizione- in Camerun, nel Bacino del Congo, una delle aree più sensibili del pianeta in termini di biodiversità, ha esteso e rafforzato la responsabilità e l’impegno di VASTO LEGNO riguardo agli aspetti sociali, ambientali ed etici. Una gestione forestale sostenibile, unita alla salvaguardia dei valori sociali, ha infatti tracciato gli elementi costitutivi delle politiche del Gruppo, tanto da intraprendere il processo di certificazione, concretatosi nel 2007 con la certificazione FSC e nel 2010 con quella OLB”.

Un’immagine a dir poco edulcorata che cozza prepotentemente con l’enorme mole di documenti di denuncia presenti on line, dai rapporti di Greeenpeace che puntano il dito contro la SEFAC a quelli della Fsc Watch, per finire con il documentario “La foresta impossibile”, realizzato nel 2010 da Alessandro Rocca.

Insomma, il Wwf dimostrerebbe, in questo modo, di ottenere fondi proprio dalla distruzione delle ultime foreste vergini. Un vero e proprio paradosso a cui l’associazione del Panda è chiamata nuovamente a rispondere. Ma sappiamo bene quale è la linea seguita in merito a ciò. Già in occasione del nostro articolo sul Patto con il panda, infatti, wwf italia aveva replicato spiegando che “il dialogo con le aziende non è un mistero, ma uno strumento necessario per la sostenibilità”. Una “strategia coraggiosa”, diceva l’associazione, con cui si corre “il rischio di essere ‘fraintesi‘. Ma siamo talmente convinti della necessità di questa azione globale che continueremo ad andare avanti”.

Ma sarà davvero così? In effetti, come fa notare Villaggio Globale, l’intensificarsi in questi giorni di servizi sull’Africa e di deforestazione sui principali quotidiani nazionali e in Tv, caratterizzati da “demagogia” e “superficialità”, è un aspetto davvero “curioso”, che alimenta ancor più il dubbio dell’esistenza di una vera e propria operazione di greenwashing.

Di certo, che ultimamente a prevalere sulla tutela degli animali e dell’ambiente fossero piuttosto gli interessi economici, noi l’avevamo già ipotizzato, come nel caso della collaborazione “natalizia” con la Coca Cola, ma viene comunque spontaneo chiedersi se sia lecito ed eticamente corretto che un’associazione ambientalista possa farsi finanziare una campagna di salvaguardia delle foreste da un gigante del legname che proprio del taglio di quelle foreste vergini vive. E come mai questo stesso gigante possa esporre tranquillamente sul suo sito il marchio di una certificazione forestale che dovrebbe al contrario garantire la sostenibilità della gestione di quelle foreste.

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