La vera storia del disabile sopravvissuto 27 ore in acqua dopo lo tsunami di Tonga

L'incredibile racconto di Lisala Folau, il 57 enne disabile sopravvissuto per oltre un giorno in mare dopo lo tsunami a Tonga

Dopo aver galleggiato oltre 24 ore, trascinato dalle alte onde provocate dallo tsunami, è approdato su un’altra isola. Non è la storia di un film drammatico, ma la vicenda reale di un 57enne disabile, uno dei sopravvissuti al disastro avvenuto a Tonga, a seguito dell’eruzione più grande degli ultimi 30 anni. La sua rocambolesca e straordinaria avventura sta facendo il giro del mondo ed è già finita su diversi prestigiosi quotidiani come il  Guardian. A far conoscere la sua vicenda George Lavaka, un giornalista radiofonico che ha intervistato l’uomo sopravvissuto alla catastrofe e ha trascritto la sua testimonianza su Facebook.

Una storia che non dimenticherò mai in vita mia – ha commentato in preda alla commozione Talivakaola Folau, uno dei figli del protagonista di questa incredibile storia – Mentre parlavo con la famiglia a Tonga, le mie lacrime continuavano a scendere perché pensavo a mio padre che nuotava nell’oceano a seguito dello tsunami. Mi si spezza il cuore immaginandoti a bere nell’acqua di mare, papà, ma sei un uomo risoluto.

L’incredibile vicenda di Lisala Folau

Lisala Folau, questo è il nome del falegname in pensione residente nel Regno di Tonga, stava imbiancando la sua abitazione sull’isola di Atata, quando suo fratello e un nipote sono corsi da lui per avvertirlo dello tsunami. Purtroppo, però, le onde anomale non hanno dato loro scampo e hanno travolto tutto nel giro di pochi secondi. Mentre il fratello invocava aiuto, Lisala e una dei suoi nipoti si sono arrampicati su un albero. Ma per l’uomo non è stato affatto facile.

“Sono disabile, cammino molto male, un bambino cammina meglio di me” ha raccontato l’uomo ad una radio locale.

Appena le onde si sono abbassate, i due hanno provato a scendere dall’albero, ma un’altra onda enorme li ha trascinati via in mare aperto.

“A un certo punto dalla riva ho sentito mio figlio che gridava il mio nome” ha ricordato Lisala, aggiungendo di non aver risposto perché sapeva che avrebbe messo a rischio la sua vita per salvarlo. Ma poi è riuscito a raggiungere un’altra isola, Toketoke, dove ha notato una motovedetta della polizia, ha afferrato uno straccio e ha cominciato a sventolarlo. Purtroppo, però, nessuno si è accorto di lui.

Il suo spirito di sopravvivenza ha prevalso e lo ha spinto a raggiungere Sopu, all’estremità occidentale della capitale Nuku’alofa. Erano già le 21 di domenica.

Sono strisciato da lì fino alla fine della strada pubblica e ho trovato un pezzo di legno che ho usato come bastone a cui appoggiarmi. Ho cercato di raggiungere l’area della pesca, in modo da chiedere a un ufficiale di usare il suo telefono per chiamare la mia famiglia. Sono arrivato e ho chiesto aiuto, ma non ho ricevuto risposta. Così ho continuato a camminare e mi sono imbattuto in un veicolo e ho chiesto aiuto. Mi ha chiesto chi fossi e io gli ho detto ero l’uomo trascinato via da Atata e che ero sopravvissuto stavo cercando di mettermi in contatto con i miei familiari.

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Inutile dire che quando l’autista l’ha riportato a casa, la gente del suo villaggio è rimasta senza parole perché stava per perdere le speranze.

La storia di Lisala ha sorpreso persino Erika Radewagen, presidente dell’American Samoa Swimming Association.

È assolutamente incredibile, dato che stava fuggendo da un evento catastrofico – ha commentato – Anche i nuotatori molto esperti hanno limiti fisici e impostano parametri, ma ci vuole una mentalità diversa per fare quello che ha fatto lui. Non è come se fosse caduto da una barca, stava scappando da un vulcano in eruzione, spazzato via dallo tsunami. Ci sono più ostacoli fisici, come cenere, detriti, onde e altri fattori che  hanno reso la sua nuotata molto più impegnativa.

Che dire? Quella di Lisala è una vicenda sorprendente, davvero degna di un disaster movie, ma con un bellissimo lieto fine.

Fonti: Facebook/The Guardian

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