Abbas Karimi, l’atleta paralimpico fuggito da Kabul che ci insegna a credere sempre nei nostri sogni

La commovente storia del rifugiato Abbas Karimi nato senza braccia a Kabul, oggi atleta paralimpico a Tokyo.

«Quando si nasce disabili in Afghanistan si è considerati senza speranza». Un amaro destino. Un tunnel senza uscita. Che avrebbe potuto risucchiare per sempre anche lui, Abbas Karimi, l’atleta paralimpico nato a Kabul. Senza braccia.

Da bambino litigava con tutti il piccolo Abbas. Tant’è che al suo primo sport, la kickboxing, si avvicinò per imparare a difendersi. Sia dai coetanei che dagli adulti. Poi la svolta. 

Il fratello costruì una piscina di 25 metri vicino a Kabul. In quella piscina Abbas avrebbe scoperto che l’acqua era sua amica. Il primo tuffo fu terrificante. Senza braccia temeva di affogare. Ma dentro di lui si agitava una vocazione segreta, che l’avrebbe portato lontano. Quel giorno gli cambiò la vita. 

Nuotare mi calma. È come uno scudo per me, che mi protegge sempre. Se sono arrabbiato o ogni volta che ho problemi, entro in acqua e mi rilassa. Il nuoto mi ha salvato la vita. Credo che senza nuotare sarei una persona molto pericolosa, sarei nei guai. Il nuoto mi ha aperto il cuore. È nella mia anima.

La famiglia non simpatizzava per la sua passione. E nel suo paese, Abbas non vedeva un futuro. Nonostante fosse diventato, nel frattempo, campione nazionale. 

Volevo solo uscire da quel mondo e dimostrare che si sbagliavano. Come persona disabile, non rientravo in quella società. Dovevo partire.

Per di più a Kabul esplodevano continuamente bombe. Non era un posto sicuro dove vivere. Così, a soli 16 anni, Abbas decise di fuggire. 

Volò in Iran e da qui viaggiò per 3 giorni attraverso i monti Zagros. Prima a bordo di un camion di contrabbandieri. Poi camminando a piedi per chilometri, trascorrendo la notte all’aperto per nascondersi dalla polizia di frontiera iraniana. Un calvario che sembrava destinato a una tragica fine. Ma che per fortuna si concluse con l’arrivo in Turchia, dove Abbas finì in un campo profughi per orfani che forniva rifugio a rifugiati e richiedenti asilo sotto i 18 anni. 

Certo, la vita nei campi profughi non era semplice ma Abbas, nel secondo campo in cui visse, riuscì a ricominciare a nuotare, convinto che quello sport lo avrebbe salvato. Aveva ragione.

Quando morirò, voglio che la gente sappia che Abbas Karimi, senza braccia, non ha mai rinunciato ai suoi sogni e ai suoi obiettivi. Posso fare qualcosa per cambiare il mondo. Ho capito che potevo farlo essendo un campione, un campione paralimpico.

In Turchia vinse 15 medaglie, poi nel 2015, Mike Ives, insegnante in pensione ed ex allenatore di wrestling negli Usa, vedendo un suo video su facebook in cui chiedeva al governo afghano di sostenerlo per rappresentare il paese ai Giochi Paralimpici di Rio 2016, decise di aiutarlo a raggiungere Portland. Finalmente la sua carriera iniziò a decollare, durante il Mondiale in Messico dove conquistò la medaglia d’argento. 

Oggi Abbas è nel Team dei rifugiati alle Paralimpiadi di Tokyo, si sente come un leone che ha combattuto duramente e non si è mai arreso, fiero di portare un po’ di felicità e speranza ai molti rifugiati di tutto il mondo.

Quando salirò sul podio, renderò felici molti rifugiati in tutto il mondo. Per me, mi sentirò come un leone, qualcuno che combatte sempre duramente e non si arrende mai, qualunque cosa accada.

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FONTE: International Paralympic Committee

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