Sport da contatto, occhio ai danni cerebrali

Alcuni tipi di sport, soprattutto quelli “da contatto” come il rugby, possono essere una seria minaccia per la salute del nostro cervello.

Sport e danni cerebrali: può sembrare un controsenso, invece può capitare. Alcuni tipi di discipline, soprattutto quelle “da contatto” come il rugby, possono essere una seria minaccia per la salute del nostro cervello. La loro “colpa” sarebbe quella di smuovere eccessivamente le zone cerebrali.

A mettere in guardia sono stati diversi studi succeduti nel tempo che hanno esaminato il rischio che alcuni sport da contatto possono comportare alla testa e verificato come l’adozione di misure cautelative a bordo campo (come una immediata valutazione neuro-psicologica) potrebbero evitare gravi danni cranici.

Nei mesi scorsi, la rivista Nature spronò le società sportive a porre maggiore attenzione proprio ai cosiddetti traumi “concussivi”, quelle lesioni cerebrali traumatiche che possono anche avere conseguenze a lungo termine.

È un fatto, d’altro canto, che in ogni campo le autorità sportive abbiano rafforzato i loro sforzi educativi e modificato le regole per rendere i giochi più sicuri. Negli Stati Uniti, la National Football League sta sperimentando una regola che consiste nell’espulsione dei calciatori della griglia nel caso in cui commettano pericolosi falli. Il World Rugby sta invece testando nuove regole per rendere i suoi giochi più sicuri e in Australia la National Rugby League ha introdotto una sperimentazione che prevede valutazioni di medici indipendenti quando i giocatori battono la testa. E anche la Fifa, la Federazione internazionale di calcio, si sta muovendo in questo senso.

Ma perché tutta questa premura? Il motivo è presto spiegato: non soltanto un transitorio stordimento, ma commozioni cerebrali, danni permanenti e addirittura demenza le conseguenze di botte ripetute alla testa.

Tutti i traumi, anche lievi, sono pericolosi

In uno studio del 2017 pubblicato su Neurology si arriva a una conclusione: anche i traumi lievi, se protratti nel tempo, possono comportare disturbi fisici, cognitivi e psicologici. I ricercatori americani hanno esaminato 222 calciatori amatoriali ( il 79% dei quali erano uomini) che praticavano l’attività sportiva per almeno sei mesi l’anno. Hanno sottoposto loro dei questionari che riguardavano il numero di partite giocate nelle due settimane precedenti, le volte che avevano colpito di testa il pallone e i sintomi riportati, distinti in tre livelli: moderati, severi (come stordimento) e di tipo molto severo con perdita di coscienza. Quel che è emerso è che tra i calciatori abituati ai colpi di testa, almeno il 20% ha avuto sintomi compresi tra il moderato e il severo.

calciatori

Attenzione ai giovani

Nel 2015 una ricerca dell’Università di Boston ha messo invece in guardia i giovani delle scuole americane che praticano football prima dei 12 anni. Il motivo riguarda il rischio di sequele neurologiche che possono provocare anche forme di demenza, come l’encefalopatia postraumatica cronica. Ciò, secondo gli studiosi, avrebbe potuto frenare bruscamente le tappe dello sviluppo neurologico dei più giovani e che indurre una tauopatia, ossia una demenza di tipo “tau” dal nome della proteina anomala che la caratterizza accumulandosi nel cervello.

Tutto confermato dall’ultimo studio apparso su Brain che prende in considerazione la condizione cerebrale di soggetti che avevano subito traumi concussivi, non solo a causa di sport come football o pugilato, ma anche per il tipo di lavoro, come l’utilizzo di martelli pneumatici. Alcuni dei lavoratori che lo studio ha preso in esame, e per i quali in vita non si sarebbe sospettato il rischio di sviluppare demenza, sono morti per eventi accidentali prima di arrivare all’età degli atleti che avevano donato il proprio cervello. I ricercatori hanno così capito che l’accumulo di proteina tau si era già verificato prima di 67 anni e che questi soggetti, se non fossero morti accidentalmente, avrebbero comunque prima o poi cominciato a soffrire di demenza.

Tutto ciò significa che non bisogna praticare più sport o nemmeno fare certi tipi di lavori? Non è esattamente così. Significa che i ricercatori hanno cominciato a supporre che può bastare anche un solo trauma concussivo anche lieve, sia unico sia ripetuto, per rimettere in discussione la salute del cervello. Basta fare uno sport o un’attività che “scuote” il cervello per trovare lesioni cerebrali in persone, anche giovanissime, che muoiono poi però per altra ragione.

La prevenzione? Bella domanda, chiosano gli esperti.

Germana Carillo

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