Il neonato piange: perché, cosa fare e come calmarlo

Il neonato piange, non dorme la notte, vuole stare sempre in braccio alla mamma. Che fare? Due le fazioni: rispondere sempre e comunque alle sue richieste oppure lasciarlo piangere per abituarlo a calmarsi da solo. Ebbene questa seconda possibilità è assolutamente sconsigliata, ecco perché.

Il neonato piange, non dorme la notte, vuole stare sempre in braccio alla mamma. Che fare? Due le fazioni: rispondere sempre e comunque alle sue richieste oppure lasciarlo piangere per abituarlo a calmarsi da solo. Ebbene questa seconda possibilità sarebbe assolutamente sconsigliata, ecco perché.

Nel corso degli ultimi decenni, alcuni libri e teorie pedagogiche hanno voluto convincere le mamme che far piangere il proprio neonato sia qualcosa di utile e non dannoso. I genitori possono così “educarlo” ad esempio a dormire e a non svegliarsi nel corso della notte. Tra i più noti e utilizzati c’è sicuramente il metodo Estivill.

Eduard Estivill, neuropsichiatra spagnolo, nel lontano 1999 ha pubblicato un libro che è diventato subito la “bibbia” di tante mamme stanche e provate da notti insonni. Prometteva infatti di insegnare un metodo risolutivo per “educare” il bambino a fare la nanna da solo, aspettando (anche se piangeva disperato) determinati intervalli di tempo, dopo i quali si poteva andare ad accudirlo e consolarlo. Tempo che gradualmente andava aumentato fino a che il bambino non imparava a consolarsi da solo e dormire.

Nonostante lo stesso Estivill molti anni dopo abbia ritrattato la sua teoria almeno per i neonati sostenendo che: “Le regole spiegate in ‘Fate la nanna’ valevano per i bambini a partire dai tre anni che soffrivano della cosiddetta insonnia infantile per abitudini scorrette”, ancora oggi tante mamme applicano questo metodo sui propri piccoli.

Ma perché i neonati piangono? Cosa esprimono i bambini con il pianto? E cosa può succedere se si lasciano piangere per tanto tempo?

PERCHÉ I NEONATI PIANGONO

I motivi per cui un neonato piange possono essere svariati: fame, sete, freddo, caldo, troppa luce, dolori vari, pannolino sporco, bisogno della mamma, ecc. E poi ci sono le coliche! La sera poi di solito si assiste ad un aumento della frequenza del pianto in quanto i piccoli, stimolati nel corso della giornata, rielaborano il vissuto e lo “buttano fuori” nell’unica modalità che attualmente conoscono, appunto piangendo. La mamma generalmente dopo un po’ di tempo impara a capire cosa sta generando il pianto del proprio figlio ma anche se così non fosse quale può essere il vantaggio di lasciar piangere fino allo sfinimento i neonati se non quello di veder rompere il proprio cuore in mille pezzi (oltre che i timpani?).

Nei primi giorni e mesi di vita i piccoli hanno bisogno di nutrimento e per nutrimento non si intende solo cibo ma anche calore e coccole di mamma e papà. Non c’è da dimenticare che fino a poco tempo prima il neonato era in una pancia calda e accogliente fatta di buio, rumori attutiti e costante presenza materna, insomma un ambiente sicuro e protetto, da cui ovviamente all’inizio è difficile distaccarsi.

Il pianto non è altro che l’unico mezzo di comunicazione che ha un neonato per esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni e va senza dubbio ascoltato e rispettato, importante far capire ai piccoli che mamma e papà ci sono per loro, sempre! È un messaggio subliminale e inconscio quello che passa, ma neanche troppo.

COSA SUCCEDE AL LASCIAR PIANGERE TROPPO UN NEONATO

Ma cosa succede ai bambini che vengono lasciati piangere a lungo? Domanda a cui è difficile rispondere. Quello che è certo è che il livello di stress del bambino aumenta in quanto aumenta la produzione di cortisolo e di altri ormoni dello stress. Questo non è certamente un bene per il giovane sistema nervoso, per lo sviluppo e in generale per tutto l’organismo dei piccoli.

Uno studio di qualche anno fa, condotto dalla psicologa Penelope Leach, si è mostrato convinto della pericolosità di far piangere i neonati in quanto a lungo andare la cosa andrebbe a danneggiare il cervello, influendo negativamente sulla capacità di apprendimento.

“Un bambino lasciato solo alla fine smetterà di piangere non perché abbia imparato a dormire felicemente da solo, ma perché è estenuato e non spera più di ottenere aiuto”.

Ed è proprio questo il messaggio subliminale di cui vi parlavo prima, il bambino lasciato piangere in realtà non impara a rilassarsi ed addormentarsi da solo in maniera sana e naturale ma piuttosto il messaggio che è inutile chiedere aiuto visto che non c’è nessuno pronto a darlo. Un messaggio pericoloso che può avere ripercussioni anche sulla vita affettiva da adulto.

Rispondendo al contrario sempre alle loro richieste di aiuto è possibile soddisfare al meglio i loro bisogni, diminuendo lo stress e facendo in modo di costruire un legame forte genitori-figli che poi si tradurrà in legami positivi con le altre persone che incontreranno nella loro vita.

Tra l’altro, i metodi che lasciano piangere i bimbi aumentando progressivamente il tempo prima di intervenire non hanno molto senso in quanto i piccoli hanno una percezione del tempo che passa completamente diversa da quella degli adulti. Non sanno quindi se hanno pianto minuti o ore e potrebbero continuare molto a lungo, al contrario i bambini i cui bisogni vengono presto soddisfatti (e non si tratta di viziare!) alla lunga piangono molto di meno, acquistano maggiore fiducia in se stessi e diventano indipendenti dai genitori più facilmente.

Tra l’altro sembra che, come sostiene la psicologa Katharina Saalfrank, anche i neonati abbiano paura della morte, perché allora, visto che si può, non permettergli di allontanare le preoccupazioni tra le braccia di mamma? Una buona idea, soprattutto se il bambino è particolarmente “ad alto contatto”, potrebbe essere quella di dotarsi di una fascia porta bebè, in questo modo il piccolo si tranquillizzerà più facilmente e la mamma avrà le mani libere per fare quello che vuole.

Leggi anche: FASCIA PORTA BEBÈ: QUALE SCEGLIERE E COME INDOSSARLA

COME CALMARE UN NEONATO CHE PIANGE

Per prima cosa è necessario capire il motivo per cui il bimbo piange e ovviamente agire di conseguenza, se ha fame offrendogli il seno o il biberon, se è stanco cullandolo per farlo addormentare o cantandogli una ninna nanna, se è sporco cambiando il pannolino, ecc. A volte la faccenda potrebbe complicarsi un po’, ad esempio in caso del ben note colichette. Leggete i nostri suggerimenti in proposito.

A volte in pianto è dovuto solo al bisogno di contatto con la mamma, in questo caso spesso è sufficiente far sentire la propria presenza, parlare o prendere in braccio il piccolo. Ovviamente se il pianto è continuo e non si capiscono bene le cause meglio sempre rivolgersi al pediatra per accertarsi che il piccolo non abbia dolori o sofferenze di altro genere (tipo problemi di reflusso).

Al di là delle teorie contrastanti comunque, il consiglio che ci sentiamo di darvi è quello di seguire il vostro istinto di mamme che non sbaglia mai e che il più delle volte, a fronte di un problema, vi suggerirà di seguire l’unico metodo davvero infallibile e universale: l’amore!

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