Reclusi in casa a oltranza da un giorno all’altro. Il trauma dei bambini a cui nessuno pensa

I bambini sono i grandi dimenticati di questa emergenza. Quali sono le conseguenze dell'isolamento che stanno vivendo soprattutto a livello psicologico?

Da tanti, troppi giorni, i bambini sono chiusi in casa. I piccoli e i più grandicelli sono ora tutti accomunati dal fatto di non poter uscire neppure per fare una passeggiata. Quali possono essere le conseguenze di questa quarantena?

I bambini iniziano a soffrire l’isolamento in casa e, per alcuni di loro, il disagio è decisamente maggiore, pensiamo ai disabili, ai bambini con disturbi dello sviluppo, a quelli le cui famiglie non hanno abbastanza risorse e la lista, purtroppo, potrebbe continuare.

Dei bambini si è parlato soprattutto in quanto possibili portatori, anche sani, del coronavirus e quindi come soggetti potenzialmente pericolosi che espongono a gravi rischi soprattutto le fasce più deboli della popolazione (tra cui proprio i loro cari nonni). Per il resto, in questa situazione di emergenza, sembrano essere un po’ i grandi dimenticati. Ovviamente non gli unici.

Perché certamente non sono solo i bambini a soffrire, ma, come abbiamo raccontato in altri articoli, tutte le fasce dei più deboli: senza tetto, malati psichici, donne sottoposte a violenza, disabili, ecc. Per tutti loro, c’è bisogno di aiuto da parte dello Stato, in varie forme a seconda delle diverse esigenze.

Nessuno conosce l’impatto psicologico e sociale della quarantena

I decreti, ormai frequentissimi, a cui siamo abituati mai hanno preso in considerazione la situazione dei bambini. Si può portare a fare una passeggiata il proprio cane ma, anche se non è espressamente detto, i più piccoli non possono uscire di casa come invece, sia pur molto limitatamente, possono fare gli adulti (per la spesa, questioni lavorative o di salute ma anche per fare attività fisica all’aperto sotto casa).

I bambini, in questo senso, sembrano essere tra le vere vittime di questa quarantena, spesso chiusi in piccoli appartamenti (almeno nelle grandi città) e alcuni addirittura senza neppure lo sfogo esterno di un balcone con cui rimanere in contatto con la realtà, che fuori continua comunque ad esistere. Lontani dagli amichetti, dalle maestre, dai loro compagni di sport o hobby (per chi li frequentava prima di questa emergenza), dai nonni e addirittura dai padri o dalle madri (in caso di genitori separati) cosa fanno tutto il giorno in casa? E come vivono dentro di loro questa emergenza?

I genitori (molti dei quali stanno lavorando in smart working) cercano di fare del loro meglio per intrattenerli con attività educative, didattiche o meno, a seconda dei casi, e con un po’ di sani lavoretti e svaghi di vario genere (consentita spesso anche una dose maggiore di cartoni o tv). Molti si dilettano con ricette di cucina, disegni e pitture e con quant’altro la fantasia e la creatività gli suggerisce. C’è chi poi fa ginnastica, baby dance o altre attività di tipo motorio in casa.

Proprio riguardo alla situazione attuale dei bambini nel nostro paese è stata lanciata una petizione che è in realtà una lettera aperta a Giuseppe Conte in cui si chiede al premier di esprimersi anche sulle possibilità offerte ai bambini durante questa quarantena, tra cui la cui possibilità di svolgere attività fisica all’aria aperta al pari degli adulti (sotto casa).

Nella petizione si legge:

“La nostra impressione è che tali provvedimenti, presi sotto la pressione dell’emergenza, non abbiano tenuto conto dell’esistenza di fasce di cittadine e cittadini differenti dall’adulto autonomo, sano e benestante (persone con disabilità, senza-tetto e per l’appunto bambine e bambini), fino ad arrivare al paradosso che le esigenze degli sportivi adulti e degli animali da compagnia ricevono maggior attenzione rispetto a categorie assai più fragili, come quelle appena menzionate”.

Si chiede quindi di stabilire regole che garantiscano la sicurezza di tutti ma anche la possibilità per i bambini di fare attività fisica all’aperto con uno dei due genitori o un’altra persona appartenente al nucleo famigliare.

La didattica a distanza non è per tutti, esclude i più poveri

C’è poi un altro punto critico: la scuola, chiusa fino al 3 aprile (per il momento, ma è evidente che la chiusura verrà prolungata). Maestri e professori stanno cercando di dare il loro contributo come possono e con le poche risorse che hanno a disposizione per far sì che bambini e ragazzi continuino l’apprendimento anche da casa.

E quindi via a lezioni a distanza, video chiamate di gruppo (a volte, grazie ad alcuni programmi, riescono a vedersi anche tutti i compagni con grande gioia ed emozione), compiti da svolgere a casa e poi mandare via mail o cellulare all’insegnante e altri escamotage tecnologici.

Insomma ci si sta ingegnando al meglio ma, purtroppo, anche in questo caso c’è chi ne rimane fuori. Pensate a quelle famiglie che non hanno una connessione ad internet o un pc con cui continuare a far studiare i propri figli, insomma a chi non ha risorse tecnologiche ma anche sociali per garantire continuità allo studio (non sempre tra l’altro i genitori sono in grado di sostituirsi a maestri e professori).

Questo, per farvi capire meglio la situazione, è il messaggio inviato da un ragazzo alla sua professoressa:

“Buongiorno professoressa. Grazie per avermi dato la possibilità di inviare i compiti tramite foto scattata sul quaderno, perché questa è la mia unica possibilità di inviare i compiti. Posso solo usare il telefonino di mia madre e abbiamo Internet anche abbastanza limitato solo sul suo telefonino, se può riferire anche agli altri professori di apprezzare il mio impegni a fare i compiti, ma purtroppo io i compiti posso inviarli solo facendoli sul quaderno e poi vi invio la foto”

Denuncia questa situazione, tra gli altri, la scrittrice Valeria Parrella che in un tweet ricorda come

“i ragazzini poveri non hanno il pc, i genitori non possono ricaricare i giga, né uscire a far fotocopie. Nelle case popolari a sei in due stanze senza un balcone ci si abbrutisce”.

Alcuni docenti segnalano invece il caso di numerosi ragazze e ragazzi che, lasciati a se stessi, trascorrono lunghe ore (anche di notte) guardando la tv, chattando o presi dai videogiochi, cosa che li rende stanchi al mattino quando dovrebbero dedicarsi allo studio.

Sembra poi diventare sempre più difficile anche acquistare prodotti di cancelleria e cartoleria che servono ai bambini per continuare a studiare da casa. Si tratta infatti di beni considerati non di prima necessità e ha fatto il giro del web la foto di alcuni reparti di supermercati dedicati a questi articoli sbarrati al pubblico nel fine settimana.

Insomma il discorso è davvero ampio e le sfaccettature della questione infinite. Fatto sta che la situazione e i bisogni dei bambini in questo momento sembrano essere sottovalutati.

Apparentemente i piccoli possono anche mantenere una certa serenità (aiutati in questo anche da un atteggiamento positivo dei genitori) e alcuni credono che il loro isolamento momentaneo non sia in realtà un problema. La verità è che nessuno conosce le conseguenze di quello che stiamo vivendo, dato che non è mai accaduto nella nostra storia, almeno recente.

C’è già comunque una prima ricerca sugli effetti dell’isolamento sociale (anche se non specificatamente dei più piccoli) e in particolare sull’impatto psicologico della quarantena. Si tratta di una revisione di studi pubblicata su The Lancet in cui varie quarantene più o meno lunghe, rese necessarie in diversi periodi e zone del mondo, hanno mostrato come conseguenza effetti psicologici negativi tra cui sintomi di stress post-traumatico, confusione e rabbia e altre problematiche che aumentavano con l’aumentare dei giorni di isolamento.

Come possiamo limitare lo stress di questa situazione ai nostri figli?

Ci dà qualche consiglio in merito la Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico (SISST):

  • Trovate il tempo per stare lontano dai media ed occuparlo con altre attività insieme a bambini e ragazzi.
  • Assicuratevi che non trascorrano un tempo eccessivo a contatto con i media: tenere la TV o i social attivi tutto il giorno quasi mai si rivela la scelta più responsabile e possono diventare agganci per emozioni negative a volte sproporzionate o incoerenti.
  • Spiegare con chiarezza gli eventi e vantaggi di una condotta: l’isolamento fisico che viene richiesto deve essere spiegato in termini di sicurezza per NOI (non solo per il minore) con una durata temporanea inversamente proporzionale all’impegno di tutti: meglio seguiremo le regole tutti insieme e prima finirà l’emergenza. In questo caso la condivisione (con gli adulti e in generale con gli altri) allenta la tensione emotiva del dover stare lontano dagli amici o dai nonni.
  • Siate coerenti ed eliminate eventuali equivoci ma senza allontanarvi troppo dalla realtà. Questo potrebbe aiutare ad integrare l’esperienza (diretta o indiretta) dell’emergenza nei propri vissuti e ricordi con potenziale quindi meno ansiogeno o pauroso evitando preoccupazioni non realistiche, inutili o eccessive.

Quali saranno davvero le conseguenze che dovrà affrontare un’intera generazione di bambini e ragazzi lo scopriremo solo vivendo, nel frattempo speriamo che questa situazione finisca al più presto e di poter vedere tutti i piccoli d’Italia tornare a correre e giocare liberi.

Fonti: Internazionale/ Lancet/Sisst/ Orizzonte scuola

 

Leggi anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook