La stagione delle allergie ai pollini inizia sempre prima (e andrà anche peggio)

Un nuovo studio condotto in Germania ha scoperto che la stagione delle allergie inizia sempre prima a causa dei cambiamenti climatici

Anche le nostre allergie, purtroppo, sono influenzate dai cambiamenti climatici. Chi ne soffre probabilmente se n’è già accorto da tempo, ma un nuovo studio condotto in Germania ha scoperto che la stagione delle allergie inizia sempre prima.

A rivelarlo è un team di scienziati dell’Università tecnica di Monaco che ha studiato come il polline proveniente da distanze lontane, a volte centinaia di chilometri, sia in grado di influenzare la durata delle stagioni allergiche in Germania e presumibilmente anche altrove. Secondo gli autori, a causa dei cambiamenti climatici, la stagione dei pollini dura più a lungo e inizia sempre prima, superando il record dell’anno precedente.

Ciò significa che le persone che ne soffrono devono fare i conti per un periodo di tempo sempre più esteso coi fastidi e il malessere. La spiegazione secondo gli scienziati non lascia spazio a dubbi: temperature più calde anticipano le fioriture, mentre livelli di CO2 più elevati provocano la produzione di una maggiore quantità di polline.

Gli effetti del cambiamento climatico sulla stagione dei pollini sono stati studiati a lungo e, secondo alcuni scienziati, la loro durata è cresciuta fino a 20 giorni negli ultimi 30 anni, almeno negli Stati Uniti e in Canada. Ma un elemento importante viene spesso trascurato:

“Il polline è destinato a volare”, spiega la dott.ssa Annette Menzel, professoressa di ecoclimatologia presso l’Università tecnica di Monaco. “Occorre tenere conto dei fenomeni di trasporto”.

Insieme ai  colleghi, la dott.ssa Menzel ha studiato il trasporto del polline in Baviera per capire meglio come sia cambiata la stagione dei pollini nel tempo.

“Il trasporto del polline ha importanti implicazioni per la durata, i tempi e la gravità della stagione delle allergie ai pollini”, ha aggiunto il dott. Ye Yuan, coautore dello studio.

Lo studio

Menzel e il suo team si sono concentrati sulla Baviera, uno stato nel sud-est della Germania, e hanno utilizzato sei stazioni di monitoraggio dei pollini sparse nella regione per analizzare i dati. I loro risultati sono stati recentemente pubblicati su Frontiers in Allergy . Hanno scoperto che alcune specie di polline, come gli arbusti di nocciolo e gli ontani, hanno anticipato l’inizio delle loro stagioni fino a 2 giorni all’anno, per un periodo di 30 anni (tra il 1987 e il 2017). Altre specie, che tendono a fiorire più tardi nel corso dell’anno, come betulle e frassini, spostano le loro stagioni in media di 0,5 giorni prima ogni anno.

Come se non bastasse, il polline può viaggiare per centinaia di chilometri e, con il cambiamento dei modelli meteorologici e la distribuzione delle specie spesso alterata, è possibile che le persone siano esposte a “nuove” tipologie di polline, che il nostro corpo non è abituato a incontrare ogni anno.

Anche se a volte può essere difficile distinguere tra polline locale e trasportato, i ricercatori si sono concentrati sui trasporti pre-stagionali per cercare di capire se ad esempio quello prodotto dalle betulle fosse presente nella stazione di monitoraggio anche se tali alberi non erano ancora fioriti.

“Siamo rimasti sorpresi dal fatto che il trasporto del polline prima della stagione sia un fenomeno abbastanza comune osservato in due terzi dei casi”, afferma Menzel. Quanto al motivo per cui è importante capire quanto polline proviene da lontano, Yuan afferma che: “Soprattutto per gli allergenici leggeri [pollini], il trasporto a lunga distanza potrebbe influenzare seriamente la salute umana locale”.

Esaminando un altro elemento oltre alla semplice concentrazione di polline, gli scienziati sono riusciti anche a ricostruire in che modo la stagione dei pollini sia influenzata dai cambiamenti climatici. Secondo Menzel, la stagione dei pollini potrebbe essere anche più lunga di quanto stimato sulla base delle osservazioni sulla fioritura.

Secondo Yuan, gli studi futuri dovrebbero tenere conto di “scenari di cambiamento climatico [e] cambiamenti nell’uso/copertura del suolo”.

Non si tratta del primo studio di questo tipo. Di recente, un’analisi condotta dall’Università dello Utah ha scoperto che i cambiamenti climatici siano addirittura in grado di aggravare le allergie.

Un motivo in più per cercare di contrastarli, al più presto.

Fonti di riferimento: Eurekalert, Frontiers in Allergy

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