Bonus e premi cash a chi si cura bene fa risparmiare sul servizio sanitario

Come sarebbe gestita la sanità pubblica se si dessero dei premi cash a chi si cura bene, appiattendo le disuguaglianze sociali ed economiche?

Incentivare con il denaro a curarsi. Come sarebbe gestita la sanità pubblica se si dessero dei premi cash a chi si cura bene, appiattendo le disuguaglianze sociali ed economiche? Se prevenire è meglio che curare, cosa succerebbe se davvero si investisse in questa direzione e si scongiurassero tutti quei costi molto più alti spesi nell’assistere milioni di persone già afflitte da malattie croniche?

Se si aiutasse, cioè, economicamente almeno chi è più povero a fare reale prevenzione? È questa in buona sostanza la logica seguita da Lifepath (Healthy ageing for all), un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea che mira a ridurre la forbice registrata nella scelta dei percorsi che possono facilitare un invecchiamento in buona salute piuttosto che le cure a malattie avanzate.

Un progetto, insomma, volto a migliorare il livello medio della salute pubblica, partendo da chi ha meno risorse cui attingere seguendo un unico ragionamento: se è ormai assodato che longevità, vita sana e incidenza di malattie sono legate alle condizioni sociali di una persona e a gravare sulla sua salute può soltanto essere il declino di queste condizioni, allora è da assottigliare il divario tra chi è in grado di adottare uno stile di vita sano e scegliere dove vivere e chi invece non se lo può “permettere”. Elargendo, appunto, denaro. Questa l’ipotesi che guida la ricerca di Lifepath.

Un sistema che, d’altronde, si è cominciato a sperimentare già in alcuni Paesi dell’America Latina, dell’Africa e del Sud Est Asiatico, in cui i cosiddetti programmi “Conditional Cash Transfer” (CCT) vengono usualmente indirizzati alle persone più povere. Essi forniscono benefici in denaro alle famiglie più disagiate, a condizione che si impegnino in attività che generino benefici a lungo termine nelle aree dell’educazione dei bambini, della prevenzione e del lavoro.
L’idea generale è che tali incentivi spezzeranno il ciclo intergenerazionale della povertà e genereranno benefici individuali e sociali.

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Che rivoluzione sarebbe se anche in Europa e in Italia funzionasse un sistema simile? In uno studio, proprio gli scienziati europei hanno voluto evidenziare come un contributo economico, a patto che ci si impegni a curarsi bene, possa migliorare di molto la salute, a partire dalle famiglie che non hanno facile accesso alle cure.

I ricercatori – il progetto è coordinato dall’Imperial College di Londra, ha come partner italiani l’Università di Torino e la Fondazione di Genetica Umana (Hugef) – hanno esaminato 4700 famiglie di basso reddito di New York, cui per tre anni sono stati corrisposti poco meno di 7mila euro.

Chi riceveva il denaro cash doveva garantire la frequenza scolastica dei minorenni, l’utilizzo dei servizi sanitari a scopo preventivo e l’impegno in un posto di lavoro da parte degli adulti. I risultati hanno dimostrato come coloro che avevano ricevuto incentivi avevano avuto performance migliori rispetto a coloro andati avanti solo con le proprie entrate. Il miglioramento più significativo si è registrato nell’accesso alle cure odontoiatriche, con almeno due visite all’anno.

Un meccanismo che ha generato un forte risparmio in termini di assistenza sanitaria, a fronte di una minima elargizione in denaro. Quei settemila euro e poco più in tre anni per nucleo familiare sono davvero pochi, se si considerano tutti i costi risparmiati per le eventuali cure che ci sarebbero state se non si fosse fatta prevenzione.

Varrebbe allora la pena sperimentare iniziative analoghe anche in Italia? È questa una questione che ha generato non poche polemiche: è giusto chiedere maggiori investimenti nell’educazione sanitaria o credere che il denaro dovrebbe venir dato direttamente ai meno abbienti per una prevenzione mirata?

Conclude così Paolo Vineis, Professore di epidemiologia ambientale presso l’Imperial College di Londra, responsabile dell’Unità di epidemiologia genetica e molecolare della Fondazione HuGeF, e coordinatore di Lifepath: “questo studio conferma l’efficacia di un simile intervento, che a questo punto meriterebbe di essere testato anche in Europa”.

Quel che è vero è che invecchiare in maniera salutare è un diritto di tutti, poveri e ricchi. Se finora si è fatta acqua da tutte le parti, perché non provare?

Germana Carillo

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