La solitudine può far male. E non solo emotivamente…

Secondo un'indagine, la solitudine crea importanti rischi in termini di salute mentale, sia per quanto riguarda la depressione, sia per quanto concerne il livello di ansia.

La solitudine può far male. E non solo emotivamente, ma anche a livello fisico: stare soli potrebbe creare significativi rischi per la salute. Se è vero che, in alcuni momenti, la solitudine è occasione di rinascita, in altri – soprattutto quando provoca gravi disagi – un isolamento può persino farci ammalare. A dimostrazione di quali “animali sociali” siamo.

A sostenerlo in uno studio sono i ricercatori della Johannes Gutenberg University di Mainz, in Germania, che, guidati dal professor Manfred Beutel, hanno scoperto che la solitudine crea importanti rischi in termini di salute mentale, “sia per quanto riguarda la depressione, sia per quanto concerne il livello di ansia

Per arrivare a questa conclusione, gli studiosi tedeschi hanno analizzato il comportamento di più di 15mila persone tra i 35 e i 74 anni, per cinque anni, tenendo sotto controllo il livello di salute psicofisica associato alla valutazione della presenza di un vero sentimento di solitudine.

Dai risultati è emerso che uscire dalla rete di interazioni classiche della vita quotidiana, rinchiudendosi in un proprio personalissimo stato emotivo, può portare ad ammalarsi, visto che l’uomo ha per sua natura un comportamento profondamente sociale.

La solitudine aumenta anche la probabilità di essere fumatori, un classico indicatore di uno stile di vita sbagliato. La ridotta qualità della salute mentale può poi essere causa di un maggior numero di visite dal medico, di ricoveri e di utilizzo di psicofarmaci. Presi nel loro complesso questi risultati danno un solido supporto alla convinzione che la solitudine dovrebbe essere considerata di per sé una significativa variabile di salute”, precisa Beutel del Department of Psychosomatic Medicine and Psychotherapy.

Ma come? La solitudine non era qualcosa che poteva essere vista con un’accezione positiva e l’occasione buona per (ri)conoscere e (ri)trovare la propria ricchezza interiore? Certo che sì: “Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa esser solo in mezzo alla folla affaccendata”, scriveva Baudelaire, ed è certamente vero.

Ma ci sono quei casi in cui non va più bene. Quei casi in cui la solitudine si trasforma in isolamento, forzato e perenne, che può porre sul ciglio di un baratro. Ed è allora che possono scattare gravi conseguenze e noi non siamo più noi.

Quest’esperimento tedesco, insomma, ci mette in guardia: quando il sentimento della solitudine non è però semplicemente l’equivalente dello “stare da soli” una tantum e poiuttosto si trasforma in uno stato emotivo che porta all’esperienza spiacevole dell’isolamento sociale, si possono produrre effetti negativi sulla salute.

Per la vera solitudine, insomma, deve esistere una “discrepanza tra i nostri bisogni sociali e la loro possibilità di realizzazione nell’ambiente in cui ci si trova a vivere”. Quando si avverte un doloroso senso di abbandono si attiva una spontanea ricerca di contatti sociali, quei meccanismi interiori che ci invogliano a cercare nuovamente delle connessioni per vincere la sensazione di isolamento (spinta alla riaffiliazione).

Proprio come il dolore fisico è un segnale che si è evoluto per spingere una persona ad avviare azioni per minimizzare il danno al proprio corpo, così la solitudine motiva la persona a minimizzare il danno al proprio corpo sociale”, spiega Pamela Qualter, della School of Psychology dell’University of Central Lancashire.

Come fare allora? Godere di quegli attimi di puro isolamento, conservarli gelosamente come proprio personale passaggio verso momenti migliori. E non di più. Poi, è quasi sicuro che soltanto la vita con la presenza di un altro e una condivisione costante possono fare la differenza.

Germana Carillo

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