Wye Community Farm: una grande tribù sostenibile

L'esperienza di Wye Community Farm, il primo villaggio autosufficiente del Regno Unito, a solo due ore di auto da Londra.

Da Londra occorrono solo due ore di auto per raggiungere la florida e rigogliosa campagna del Kent, nota per la presenza del primo villaggio autosufficiente del Regno Unito: la Wye Community Farm. Tutto ebbe inizio nel 2006 quando l’Imperial College of London acquistò 800 ettari dello storico college di agraria di Wye per costruire un moderno parco scientifico e un campus aziendale.

Immediata è stata la reazione degli abitanti, impauriti di vedersi portar via il “polmone” verde del Kent così decisero di aprire trattative con l’azienda a patto che loro stessi si occupassero del mantenimento facendo pascolare mucche, pecore, cavalli in modo da non devastare il microhabitat. In poco tempo i residenti diedero vita ad un entusiasmate progetto basato sulla riduzione dei rifiuti di imballaggio, la salvaguardia della biodiversità e l’installazione di sistemi di energie rinnovabili.

Oggi su 2000 residenti del villaggio più di 1200 sono diventati volontari della cooperativa “Wye Community farm“, trasformandosi in agricoltori e allevatori mossi da un comune obbiettivo: tornare ad un’agricoltura tradizionale e a produrre cibo locale, e a utilizzare fonti di energia alternative come l’olio vegetale avanzato da pubs e fish&chips per farne bio-benzina per i trattori.

Ogni singolo agricoltore si connette alla comunità locale per trovare un sistema di distribuzione alimentare che dipenda più dalla cooperazione che dal petrolio. Uno dei fondatori della Wye, il quarantenne Boden gestisce una delle più grandi aziende di eco-riciclo. Il suo ufficio è diventato punto di raccolta degli oggetti scartati che vengono poi rivenduti nel villaggio mentre il sabato mattina Boden si riunisce con gli altri volontari per organizzare la settimana lavorativa.

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La forza della Wye community è un lavoro attento, misurato e gestito con massima cautela e rispetto per la natura. Un lavoro che dà i suoi frutti. Basti pensare che soli 50 acri di terra producono ortaggi e verdura per più di 100 famiglie che trovano sulle loro tavole cibo sano e fresco senza doversi preoccupare di quanti e quali pesticidi o fertilizzanti siano stati utilizzati. Forse è per questo che la frutta risulta un po’ ammaccata. Inoltre con il minimo trasporto del cibo ed evitando inutili imballaggi di plastica, contribuiscono a rilocalizzare la catena di fornitura del cibo stesso, calcolando che proprio il trasporto del cibo incide per un terzo sui cambiamenti (negativi) del clima. Insomma vedere il cibo prodotto a pochi isolati dalla propria abitazione vale più di qualsiasi etichetta DOC.

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Come non ricordare, poi, Steve Williams fondatore dell’impresa no-profit WyeCycle since 1989, uno dei progetti di riciclo più importanti del Regno Unito. In una recente intervista Steve dichiara: “Ogni lunedì mattina facciamo il giro delle case per raccolgiere i rifiuti da giardino, poi li ricicliamo in compost da riutilizzare negli stessi prati, cosi tutto ritorna esattamente dov’era“. Sistema innovativo e redditizio, inoltre, è la boxsheme, ovvero cassette contenenti nove ortaggi di stagione spedite settimanalmente.

Sul fronte dei materiali e del settore boschivo, dalla legna tagliata si ricava combustibile pulito che viene venduto a prezzi inferiori a quelli di mercato. Ogni esponente della cooperativa fa quello che può nel suo piccolo per salvaguardare il tesoro ambientale ,come testimonia Furey, neo-mamma con un master in turismo sostenibile alle spalle, da sempre sensibile alla tematica del riscaldamento globale. Furey compra solo cibo locale e alimenta la sua vecchia Land Rover con olio vegetale, non male considerando che in media una famiglia inglese consuma 4,2 tonnellate di Co2 in un anno. Non ci deve sembrar poco!

Spesso siamo portati a pensare che l’azione di uno solo non sia sufficiente per cambiare la realtà delle cose. E come diceva Gandhi: “Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia. Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere“.

Federica De Angelis

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