I dipendenti di tutte le fabbriche Kellogg’s Usa stanno scioperando contro lo sfruttamento della multinazionale dei cereali da colazione

I dipendenti Kellog's scendono in piazza contro orari di lavoro massacranti e assenza di diritti. E l'azienda minaccia la delocalizzazione

I dipendenti Kellogg’s scendono in piazza contro orari di lavoro massacranti e assenza di diritti: malgrado l’impennata nella produzione, il brand non assume nuovo organico, i turni di lavoro sono lunghi, massacranti e con assenza di pause per produrre i cereali più consumati dalle famiglie americane

I lavoratori di tutte le fabbriche di cereali del noto marchio Kellogg’s deli Stati Uniti hanno annunciato sciopero per aumenti e ferie. Lo stop ha coinvolto circa 1.400 lavoratori nelle fabbriche di Michigan, Nebraska, Pennsylvania e Tennessee che si occupano della produzione di alcuni dei ‘cavalli di battaglia’ del brand – fra cui Rice Krispies, Raisin Bran e Frosted Flakes. I lavoratori denunciano infatti turni di lavoro lunghi e assenza di pause per produrre i cereali più consumati dalle famiglie americane, e l’azienda ha risposto con tagli agli stipendi e la minaccia di delocalizzazione in Messico, dove i costi per la manodopera sono evidentemente più bassi.

Questo sciopero avviene in un momento di forte richiesta di prodotti per l’azienda (dovuto anche alle conseguenze della pandemia e all’esigenza di consumare più cibo a casa), secondo il produttore esecutivo di Kellogg’s Steven Cahillane: il fatturato annuo del brand è consistentemente aumentato dai livelli pre-Covid del 2019, raggiungendo un +8% nel 2020, e si sta mantenendo alto anche nel 2021. Questo aumento della domanda ha provocato scompensi nella catena produttiva negli Stati Uniti e altrove, con carenza di manodopera fra gli operai delle fabbriche e gli autisti della distribuzione e conseguente aumento dei prezzi dei prodotti finali.

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Trevor Bidelman, presidente dell’Unione Internazionale dei lavoratori BCTGM ed impiegato di quarta generazione nello stabilimento Kellog’s del Michigan, spiega che i lavoratori protestano contro la proposta dell’azienda di introdurre il sistema salariale ‘a due livelli’ (che prevede cioè stipendi diversi per i dipendenti a seconda dell’anzianità, del merito o della mansione svolta), di abolire la previdenza pensionistica e di modificare il pagamento dei giorni di ferie. Ma non solo: poco prima dello sciopero, l’azienda aveva già annunciato il licenziamento di 212 persone proprio nello stabilimento del Michigan (che attualmente ospita 390 dipendenti) nel corso dei prossimi due anni.

Solo un anno fa eravamo osannati come eroi, perché continuavamo a lavorare in piena pandemia, sette giorni alla settimana, 16 ore al giorno – continua Bidelman. – Ora, evidentemente, non siamo più eroi: non abbiamo i weekend liberi e continuiamo a lavorare ininterrottamente tutta la settimana, a volte facciamo fino a 100/130 giorni di lavoro prima di vederne uno di pausa. E pensare che i macchinari che usiamo nelle fabbriche lavorano per cicli di 28 giorni prima di rimanere ‘a riposo’ per tre giorni. Non ci trattano neanche al pari delle macchine.

Anche i dipendenti degli altri stabilimenti denunciano ritmi di lavoro massacranti (dalle 12 alle 16 ore al giorno) sette giorni alla settimana senza pausa, con l’impossibilità di trascorrere tempo con le loro famiglie: malgrado gli ottimi guadagni e la crescente domanda di prodotti, Kellogg’s continua a mantenere limitato il proprio organico, costretto a lavorare sempre di più per rispettare le consegne.

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Fonte: Washington Post / The Guardian

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