La storia dimenticata delle donne dei campi di concentramento costrette a prostituirsi

Dovevano essere polacche, tedesche o bielorusse, mai ebree. Venticinque anni la soglia massima di età, dovevano rimanere sempre in silenzio e presentarsi con addosso una divisa dove sopra c'era cucito il loro numero. Nel campo di concentramento di Auschwitz succedeva anche questo: le ‘prescelte' dovevano diventare prostitute.

Erano costrette a vivere in quelle che venivano definite case di tolleranza, ovvero edifici speciali all’interno dei campi di concentramento, dove l’accesso era controllato in maniera meticolosa.

C’erano turni, tariffe e orari di ingresso riservato solo ai Funktionshäftlinge ovvero i detenuti-funzionari, gli internati che svolgevano compiti di sorveglianza all’interno del lager, come ad esempio decani o kapò.

Non internati semplici, dunque, ma uomini che potevano pagare i due Reichsmark richiesti dalle SS per accedere alla casa chiusa che non era stata allestita solo ad Auschwitz, ma anche in altri campi di concentramento.

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Una triste realtà che si consumava tra il filo spinato che recintava i lager, l’ennesimo simbolo dell’orrore nazista che trattava le donne come merce di scambio e che è ben documentato in Das KZ-Bordell (Il bordello nel campo di concentramento), un libro di Robert Sommer che ben racconta l’inferno di chi viveva nelle Sonderbauten.

L’idea era stata del capo delle SS Heinrich Himmler che nel 1942 aveva pensato di istituire il bordello per aumentare la produttività degli internati, reclutando le donne che riteneva idonee a diventare prostituite.

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Le regole seguivano il clima tedesca: i detenuti presentavano una domanda, venivano inseriti in una lista, si sottoponevano a visita medica e se superavano l’iter avevano accesso alla casa di tolleranza.

La donna doveva presentarsi ben vestita e truccata, non doveva mai incrociare lo sguardo dell’uomo, guai a pronunciare una parola. Doveva sdraiarsi e aspettare che i 15 minuti passassero. Il rapporto sessuale veniva controllato dallo spioncino dalle SS.

Come se non bastasse, le donne prima di diventare prostitute venivano sterilizzate, per questo i casi di gravidanze erano pochissimi e quando succedeva c’era l’immediato aborto.

Alcune testimonianze dirette sono state raccolte dalla scrittrice tedesca Helga Schneider che in uno dei suoi romanzi, dà voce proprio a queste vittime. ‘La baracca dei tristi piaceri’ ad esempio parla di donne diventate automi che dopo essere state oggetto in mano agli uomini, la sera per sopravvivere si alcolizzavano.

A parte il rapido abbrutimento fisico e mentale, per un certo periodo mosse qualcosa nel mio inconscio che non aveva nulla a che fare con la mia natura (…) sentivo l’impulso di uccidere un qualsiasi bastardo affiliato di Himmler. Uno sarebbe stato sufficiente, come se quell’omicidio avesse potuto vendicare ciò che mi avevano fatto le SS, confinandomi con l’inganno in un bordello (…), si legge nel libro.

Testimonianze preziose e rare perché sono pochissime le donne che sono uscite vive dal campo. Quando si ammalavano, infatti, sfinite da una vita fatta di degrado e umiliazione, venivano rispedite in altri lager, qui trovavano la morte con il gas e i forni crematori o diventavano cavie per esperimenti medici.

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