Possono tornare a casa i marinai bloccati da 4 anni sulla petroliera, arenata col suo pericoloso carico negli Emirati Arabi

Cinque marinai sono prigionieri della della petroliera MT Iba sulle coste emiratine e attendono di essere liberati e risarciti dall'armatore.

Sulle idilliache coste di Umm Al Quwain, uno dei sette Emirati degli Emirati Arabi Uniti, da 43 mesi era attraccata una petroliera da 5.000 tonnellate e dal valore di 4 milioni di dollari. Dal 2017, cinque membri dell’equipaggio della petroliera MT Iba, battente bandiera panamense, erano bloccati a bordo della nave. Una vera e propria odissea, un incubo di cui ora si vede la fine.

I cinque marinai torneranno finalmente a casa dopo aver concordato un compenso salariale di 165mila dollari tramite un accordo concluso proprio oggi, 16 febbraio. Nel pomeriggio la nave, rimossa dalla sabbia, sarà fissata ad un punto di ancoraggio per le opportune riparazioni.

L’equipaggio, condotto nella Città marittima di Dubai, deve attendere 15 giorni per il completamento delle operazioni legali di vendita della petroliera alla Shark Power Marine Services. Solo a quel punto, i cinque membri dell’equipaggio potranno ricevere il pagamento del restante compenso e sarà cura della società armatrice coprire i costi del loro rimpatrio nei rispettivi paesi di origine (Pakistan, Myanmar, India).

Il caso della “MT Iba”

I cinque uomini dell’equipaggio della petroliera MT Iba, che erano senza stipendio da 32 mesi, erano prigionieri della nave, il cui pericoloso carico era privo di manutenzione e li esponeva a ulteriori rischi. Si trovavano in una sorta di limbo, in ostaggio delle leggi internazionali e della società armatrice, la Alco Shipping. Se avessero deciso di scendere dalla nave, avrebbero rischiato di essere arrestati negli Emirati per abbandono della nave e di perdere il risarcimento complessivo di circa 230.000 dollari inizialmente atteso dalla società armatrice.

Da quasi quattro anni, infatti, la società armatrice non provvedeva più agli approvvigionamenti dei cinque uomini dell’equipaggio, che non potevano andare sulla terraferma nemmeno per acquistare beni di prima necessità. Un incubo per queste persone, un “inferno vivente” per loro, lontani dalle proprie famiglie e privati di qualsiasi diritto fondamentale.

Fino ad oggi, sono sopravvissuti grazie alle donazioni dell’ente caritatevole The Mission to Seafarers, che i cinque uomini hanno dovuto contattare per ricevere cibo e usufruire dei servizi igienico-sanitari essenziali. Nel gennaio scorso, una tempesta aveva spezzato le catene delle ancore e la petroliera era spiaggiata a poche decine di metri dalla costa.

L’ente di beneficenza aveva tentato la mediazione tra i cinque membri dell’equipaggio e la Alco Shipping, che aveva provato ad offrire 150.000 dollari per risolvere il contenzioso e aveva promesso di inviare delle squadre per rimettere in funzione la nave e liberare l’equipaggio. La trattativa era stata sospesa, ma ora la questione sembra essersi risolta.

Le altre petroliere arenate, una bomba a orologeria

Quello della MT Iba è uno dei più recenti casi di abbandono di navi delle società armatrici ai loro equipaggi a seguito di problemi finanziari. È opportuno tuttavia ricordare anche il caso della Safer, petroliera carica di oltre un milione di barili di greggio, abbandonata da 5 anni a 40 miglia dal porto di Hodeidah, controllato dai ribelli Houthi. Una bomba ecologica nel Mar Rosso che ha richiesto una apposita missione dell’ONU.

Come risulta da un comunicato ufficiale dello scorso 2 febbraio, la missione ONU è ancora in sospeso ed è stata rimandata per la mancata autorizzazione degli Houthi a condurre operazioni tecniche volte ad evitare perdite di combustibile e a mettere in sicurezza la petroliera-fantasma.

In Venezuela, la nave Nabarima con a bordo 1.3 milioni di barili di greggio è ferma da tempo al largo delle coste del Venezuela nel Golfo di Paria e sta per affondare, con il rischio di distruggere un intero ecosistema marino.

Fonti: Reuters /The National

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