Fuocoammare: il film di Rosi che sostiene il Nobel per la pace agli abitanti di Lampedusa

Dare il Nobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbo sarebbe una scelta giusta e un gesto simbolico importante. Da pochissimo vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Berlino, grazie al docufilm “Fuocoammare”, il regista Gianfranco Rosi sostiene la candidatura al Nobel per la Pace dell’isola siciliana e di quella greca.

Dare il Nobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbo sarebbe una scelta giusta e un gesto simbolico importante. Da pochissimo vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Berlino, grazie al docufilm “Fuocoammare”, il regista Gianfranco Rosi sostiene la candidatura al Nobel per la Pace dell’isola siciliana e di quella greca.

Consegnarlo non a un individuo ma a un popolo. I lampedusani in questi vent’anni hanno accolto persone che sono arrivate, migranti, senza mai fermarsi. Ho vissuto lì un anno e non ho mai sentito da nessuno parole di astio e paura nei confronti degli sbarchi. Le uniche volte in cui li vedo reagire con rabbia è quando ci sono troppe notizie negative associate all’isola: “disastro a Lampedusa”, “i pesci che mangiano i cadaveri”, “arrivano i terroristi”. Quelle sono le cose verso le quali hanno, giustamente, un rifiuto totale. Vorrebbero che tutto si svolgesse senza lasciare traccia mediatica, portando avanti il loro aiuto quotidiano. Ce ne sono tanti che lavorano al Centro d’accoglienza, oggi che gli sbarchi sono procedura istituzionale: la raccolta in mare aperto, l’arrivo al porto e al Centro per l’identificazione, scrive in una lettera a Repubblica il regista che ha dato in dono a Lampedusa il trofeo vinto a Berlino.

In “Fuocoammare”, Rosi racconta la quotidianità di Lampedusa e dei suoi abitanti. C’è il lavoro dei pescatori e c’è Samuele, un ragazzino di 12 anni che va a scuola e gioca con la fionda. C’è il mare e c’è quell’orizzonte che negli ultimi 20 anni, ha visto migliaia di migranti in cerca della libertà. C’è un’isola diversa dalle altre, dove lo stesso Rosi ha vissuto per più di un anno entrando a contatto con quella che per i lampedusiani è la normalità.

C’è uno dei racconti del dottor Pietro Bartolo che mi è entrato nel cuore, anche se non sono riuscito a metterlo nel film. Quando su una nave carica c’era una donna incinta che non era riuscita a partorire, stretta tra la folla. Bartolo attrezzò una piccola sala operatoria e fece nascere la bimba. Non aveva detto nulla a nessuno ma quando uscì dall’ambulatorio, sfinito, trovò ad aspettarlo 50 lampedusane con pannolini e vestitini. Quella bimba oggi si chiama Gift, dono, e abita con la mamma a Palermo. Questo stato d’animo appartiene non solo a Lampedusa ma alla Sicilia e i siciliani, scrive ancora.

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Un docufilm che tocca l’anima e spinge alla riflessione. Rosi condanna le barriere fisiche e mentali di alcuni stati europei.

L’accoglienza è la prima cosa che ho imparato dai lampedusani. La loro generosità mi ha stupito, ma il dottor Bartolo, che è stata la mia guida, mi ha spiegato che loro sono un popolo di pescatori e per questo accolgono tutto quel che viene dal mare. Dobbiamo assorbire anche noi l’anima dei pescatori. Ho dedicato la vittoria a Lampedusa e ai suoi abitanti. Perché quel popolo oggi è la mia famiglia.

fuocoammare lampedusa

Dominella Trunfio

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