Assange, il giudice britannico blocca l’estradizione negli USA: “Paura per la sua salute mentale”

Il giudice britannico ha detto di no: Julian Assange non potrà andare negli Stati Uniti a causa dei timori per la sua salute mentale

Il giudice britannico ha detto di no: Julian Assange non potrà andare negli Stati Uniti a causa dei timori per la sua salute mentale. Continua il braccio di ferro tra gli Stati Uniti, che vogliono che il fondatore di WikiLeaks sia accusato di aver violato l’Espionage Act, e la Gran Bretagna. Questa volta a spuntarla è stato un giudice di Londra che ha stabilito che Assange rischia il suicidio e non potrà essere estradato.

Una vittoria per i sostenitori di Assange, contro le autorità statunitensi che lo hanno accusato di aver ottenuto e pubblicato documenti militari e diplomatici segreti relativi alle guerre in Iraq e Afghanistan. Tuttavia, altri hanno espresso preoccupazione per la motivazione della decisione. Il giudice si è concentrato infatti sui problemi di salute mentale di Assange ma ha respinto l’argomentazione della difesa secondo cui le accuse erano un attacco alla libertà di stampa e avevano motivazioni politiche.

Una vicenda iniziata nel 2010 quando il giornalista australiano, cofondatore e caporedattore di WikiLeaks, ha reso noti dei documenti forniti dall’ex analista dell’intelligence dell’esercito americano Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra. Si è poi rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra per sfuggire all’estradizione in Svezia, dove ha dovuto affrontare le accuse di stupro, successivamente ritirate.

Nel frattempo, ha continuato a gestire WikiLeaks come rifugiato politico autoproclamato. Ha trascorso sette anni lì prima del suo arresto da parte della polizia britannica nel 2019. Da allora è in carcere nel Regno Unito presso la Her Majesty Prison Belmarsh, accusato dagli Usa di cospirazione e spionaggio. Per questo gli Stati Uniti ne avevano richiesto l’estradizione.

Ma a sorpresa la giudice Vanessa Baraitser della Corte dei magistrati di Westminster oggi he negato questa possibilità. Assange, 49 anni, presente all’udienza, è stato incriminato nel 2019 per 17 capi di imputazione per violazione dell’Espionage Act e cospirazione per aver hackerato computer governativi nel 2010 e nel 2011. Se ritenuto colpevole, potrebbe rischiare una pena fino a 175 anni di carcere ma oggi non verrà estradato negli Usa perché, secondo la giudice, ci sono prove di rischi per la salute se dovesse affrontare un processo negli Stati Uniti, sottolineando

“il rischio di Assange di suicidarsi, se dovesse essere emesso un ordine di estradizione”. Secondo Baraitser, l’estradizione “sarebbe ingiusta e opprimente a causa delle condizioni mentali del signor Assange”.

Si tratta di un punto di svolta importante in una battaglia legale che dura da più di un decennio ma è probabile che si protragga per diversi mesi: i pubblici ministeri statunitensi hanno intenzione di presentare ricorso contro la decisione e hanno due settimane di tempo per farlo.

Una folla di sostenitori riuniti fuori dal tribunale nel centro di Londra è esplosa in applausi quando è stato emesso il verdetto.

“Oggi siamo travolti dalla nostra gioia per il fatto che Julian sarà presto con noi”,

ha detto ai giornalisti fuori dal tribunale Craig Murray, un ex diplomatico britannico e attivista per i diritti che ha documentato l’udienza, osservando che la difesa di Assange avrebbe richiesto la libertà su cauzione mentre l’appello era in corso.

 

Altri hanno applaudito il rifiuto della richiesta di estradizione, ma hanno espresso preoccupazione per la sostanza della sentenza. Tra loro c’era Rebecca Vincent, la direttrice delle campagne internazionali per Reporter senza frontiere:

“Non siamo d’accordo con la valutazione del giudice secondo cui questo caso non è politicamente motivato, che non si tratta di libertà di parola”, ha detto Vincent. “Continuiamo a credere che il signor Assange sia stato preso di mira per i suoi contributi al giornalismo, e fino a quando le questioni sottostanti non saranno affrontate, altri giornalisti, fonti ed editori rimarranno a rischio”.

Fonti di riferimento: NY Times, Judiciary

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