Salviamo Adama, la bimba di 3 anni che rischia la mutilazione genitale

Anche Adama, dolcissima bimba guineana di 3 anni (nemmeno) rischia di subire mutilazioni genitali, in nome di una pratica patriarcale che prevede la mutilazione del clitoride, che rende la loro vita, da allora in poi, un altare di sofferenze

Adama, dolcissima bimba guineana di 3 anni (nemmeno) rischia di subire mutilazioni genitali, in nome di una pratica patriarcale che prevede la rimozione del clitoride. Una vera e propria tortura che rende la vita di molte innocenti, da allora in poi, un altare di sofferenze.

Adama Barry è una bambina guineana nata il 25 aprile 2016 e suo padre, giornalista, dopo una manifestazione in cui i militari gli hanno rivolto una raffica di mitra, è riuscito a fuggire in Italia, dove ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma non è riuscito ancora ad ottenere il ricongiungimento familiare per la moglie e la figlia.

E non c’è più tempo, perché la piccola, se sarà ancora in Guinea al compimento dei suoi tre anni (quindi il prossimo 25 aprile), subirà, come il 97% delle sue coetanee (dati Unicef), la mutilazione. I genitori sono contrari, ma le due nonne di Adama hanno già deciso, anche sfruttando la distanza del padre della piccola.

La piaga delle mutilazioni genitali femminili è ancora aperta e continua a ferire un numero insopportabile di innocenti. Ben 200 milioni di ragazze e donne in 30 Paesi hanno sofferto di una qualche forma di mutilazione genitale. La più alta incidenza di casi in questa fascia di età si registra in Gambia (56%), in Mauritania (54%) e in Indonesia, in cui circa la metà delle ragazze fino a 11 anni ha subito la pratica.

Metà delle donne e delle ragazze mutilate vive in tre Paesi: Egitto, Etiopia e Indonesia. Quelli con l’incidenza più alta fra le ragazze e le donne dai 15 ai 49 anni sono Somalia (98%), Guinea (97%) e Djibouti (93%). Quasi ovunque la maggioranza delle bambine sono state mutilate prima di compiere cinque anni (dati Unicef e Unfpa).

Si parla di pratiche che provocano dolori atroci sul momento e nelle settimane successive, ammesso che non ci siano infezioni. E poi la vita è rovinata per sempre: sofferenze ad ogni ciclo mestruale, ad ogni rapporto sessuale, per non parlare del parto. Tutto questo deve finire, e nessuno deve stare a guardare.

Cosa possiamo fare?

Innanzitutto denunciando continuamente e alzando la voce ovunque pensiamo che qualcuno ci possa ascoltare. L’indignazione internazionale ha già portato qualche ottimo risultato: Nigeria e Gambia, per esempio, hanno vietato la pratica. La legge non ha completamente azzerato le mutilazioni, che purtroppo vengono praticate ancora illegalmente, ma da qualche parte bisogna iniziare, nella speranza che questo cambi il modo di pensare delle generazioni future.

Come aiutare Adama

I tempi burocratici per ottenere il ricongiungimento familiare sono troppo lunghi. Mamma e figlia devono ottenere un visto turistico per stare in Italia e in 3 mesi cercare di ottenere quello permanente.

“Le spese che si dovranno sostenere sono ingenti –si legge sulla piattaforma Produzioni dal Basso, che ha lanciato una campagna di crowdfunding per aiutare mamma e figlia: 120 euro per il visto, 200 per l’assicurazione sanitaria, 1.600 euro di disponibilità economica per la sussistenza in Italia, da dimostrare per ottenere il visto, 2.000 euro per il biglietto aereo di andata e ritorno. In tutto circa 4.000 euro. Non è una grande cifra, ma è una spesa che Mamadou da solo non è in grado di sostenere perché guadagna poco più di 600 euro al mese e spende 300 euro per una stanza affittata senza contratto”. Ad oggi abbiamo 1.600 euro, non bastano ma ce la possiamo fare.

Per aiutare la bambina è in corso la raccolta fondi. Clicca qui per contribuire.

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Roberta De Carolis

Foto: Produzioni dal Basso

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