Gli ecoprofughi: in fuga da calamità naturali e cambiamenti climatici

Ogni anno milioni di persone sono costrette ad abbandonare le proprie case e i propri territori di origine a causa degli effetti del riscaldamento globale.

Un esodo di dimensioni crescenti, che ha determinato la nascita di una nuova categoria di sfollati: gli ecoprofughi.

Alcuni giorni fa, nell’ambito di Terra Futura, la mostra convegno internazionale sulle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale tenutasi a Firenze dal 29 al 31 maggio, Legambiente ha presentato il dossier “Profughi ambientali”. Ad illustrare al pubblico della Fortezza da Basso i dati di questa nuova e ancora poco conosciuta emergenza umanitaria erano presenti Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale e direttore del Dipartimento internazionale di Legambiente, e Sergio Marelli, direttore generale di FOCSIV – Volontari nel mondo.desertificazione

I numeri diffusi da Legambiente sono sconfortanti e invitano alla prevenzione e ad un’azione il più possibile tempestiva: oggi, infatti, oltre 800 milioni di persone vivono in aree considerate a rischio; di queste, 344 milioni sono esposte al pericolo di cicloni tropicali e 521 milioni a quello di inondazioni. Le zone aride e semiaride, che subiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici, rappresentano il 40% della superficie terrestre, vale a dire 5,2 miliardi di ettari di terreno, nei quali vivono circa 2 miliardi di persone.

Attualmente, inoltre, 6 milioni di persone sono considerate potenzialmente ecoprofughe, in quanto potrebbero essere costrette in qualsiasi momento ad abbandonare le proprie case e il proprio territorio a causa delle conseguenze del riscaldamento globale: un flusso migratorio che potrebbe essere causato sia da catastrofi naturali, quali inondazioni e tempeste, sia dall’innalzamento del livello del mare e dalla progressiva desertificazione. L’UNHCR (Agenzia dell’Onu per i Rifugiati) prevede 200-250 milioni di persone in fuga per “cause ambientali” entro il 2050: un vero e proprio disastro umanitario.

Nonostante le proporzioni raggiunte dal fenomeno e la drammaticità delle prospettive future, la condizione degli ecoprofughi non ha ancora ricevuto la dovuta attenzione a livello mediatico e internazionale, anche perché lo status di “profugo ambientale” non viene riconosciuto ufficialmente, come invece accade per i profughi politici. Eppure, i numeri sono più che rilevanti e gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici sono già una drammatica realtà in molte aree del globo, e non soltanto nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. La stessa Europa non può considerarsi del tutto al sicuro, dato che 30 milioni di ettari di terra affacciati sul Mediterraneo, tra Spagna, Portogallo, Marocco, Libia e Tunisia, mostrano già i primi sintomi della desertificazione ed espongono al rischio ben 6,5 milioni di persone.

Per quanto riguarda l’Italia, lo studio di Legambiente stima che circa 4.500 chilometri quadrati di territorio nazionale, soprattutto al Sud, potrebbero venire sommersi a causa dell’innalzamento delle acque. Si tratta di dati e previsioni non esattamente rassicuranti, che impongono lo studio di soluzioni e di provvedimenti di assistenza a sostegno delle popolazioni colpite o a rischio e che, soprattutto, invitano i paesi più industrializzati ad assumersi le proprie responsabilità e a mettere (finalmente) in pratica i buoni propositi, riducendo la propria dipendenza da petrolio e carbone e puntando su politiche di tutela dell’ambiente e sulle energie alternative.

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