Amazon tax: così Seattle leva alle multinazionali per dare ai poveri e ai senzatetto

“Amazon tax”, ossia un’imposta di 275 dollari all’anno per ogni dipendente delle grandi aziende. Amazon e le altre non ci stanno.

Tassa sulle multinazionali a favore dei senzatetto. “Tremano” le grandi imprese di Seattle, negli Stati Uniti, dove il consiglio comunale ha approvato la cosiddetta “Amazon tax”, ossia un’imposta di 275 dollari all’anno per ogni dipendente delle aziende con almeno 20 milioni di ricavi annuali.

L’obiettivo è raccogliere circa 50 milioni di dollari l’anno che andrebbero poi destinati ad alloggi e servizi vari per gli indigenti. Una bella sferzata di solidarietà? Certo, ma, manco a dirlo, Amazon, che ha sede proprio a Seattle, non ci sta e si dice “preoccupata”. Per non parlare della prima cittadina della città, Jenny Durkan, che ha espresso perplessità sulla misura e si è riservata il diritto di veto.

Secondo la proposta del consiglio comunale, circa il 60% del gettito fiscale andrà a nuovi progetti abitativi per i residenti a Seattle a basso e medio reddito, per combattere una crisi immobiliare attribuita in parte proprio a un boom economico locale che ha fatto lievitare i costi delle case a discapito della classe lavoratrice. Il resto andrebbe ai servizi per i senzatetto, compresi posti letto nei rifugi, nei campi e nei parcheggi notturni.

In pratica, la misura si applicherebbe alla maggior parte delle aziende che incassano almeno 20 milioni di dollari l’anno, imponendo una tassa di circa 14 centesimi per dipendente per ora lavorata all’interno della città – circa 275 dollari all’anno per ogni lavoratore.

Questa formula “head tax” è concepita per raccogliere tra i 45 milioni e i 49 milioni di dollari all’anno nel corso di cinque anni per costruire alloggi più economici e servizi di supporto per gli homeless.

La tassa, che segue un po’ la scia di altre proposte simili fatte a Denver e a Chicago (qui però la norma era passata e poi abrogata) colpirebbe anche multinazionali presenti a Seattle come Starbucks e la catena di grandi magazzini Nordstrom, così come i giganti della tecnologia californiana come Apple, Google e Facebook che hanno abbastanza presenza a Seattle da essere soggetti al nuovo prelievo. In totale, l’imposta dovrebbe essere sostenuta da circa 500 società, pari al 3% del settore privato della città, mentre le aziende sanitarie e le organizzazioni non profit sono esenti.

I sostenitori della Amazon tax snocciolano dati che mostrano come i prezzi medi delle case di Seattle siano saliti a più 820mila dollari e come l’area metropolitana di Seattle ospiti la terza più grande concentrazione di senzatetto degli States, quasi 12mila.

Di contro, Amazon e gli altri gruppi di magnati hanno profonde remore e il CEO Amazon Jeff Bezos parla di preoccupazione per il “futuro creato dall’approccio ostile e dalla retorica del consiglio comunale, che ci costringe a porci domande sulla nostra futura crescita nella città”. E Drew Herdener, vicepresidente di Amazon, rimarca come in realtà la crescita delle entrate della città abbia superato quella della popolazione: “La città non ha un problema di entrate, il problema è l’efficienza della spesa”.

Deluse e preoccupate, insomma, Amazon e 131 grandi compagnie del territorio, che parlano di un “approccio ostile”. Sbagliamo, o i conti non tornano?

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Germana Carillo

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