Mia Martini: 28 anni fa ci lasciava una delle artiste più grandi della canzone italiana

28 anni ci lasciava uno dei pilastri della canzone italiana: Mia Martini. Un'artista intensa, sofferta, inarrivabile: ripercorriamo la sua storia

Esattamente 28 anni dicevamo addio a una delle stelle più luminose del panorama musicale italiano: Mia Martini, al secolo Domenica Bertè. La  sua vita, si è interrotta troppo presto, quando l’artista calabrese aveva soli 47 anni. La morte di Mimì, avvenuta il 14 maggio del 1995, è stato l’atto finale di un’esistenza fatta di eventi sofferti e brevi spiragli di luce, di calunnie, maldicenze e tante canzoni, ognuna necessaria e impareggiabile a suo modo.

L’immensa Mia Martini ci ha lasciato in un venerdì qualunque, ma la sua storia, la sua voce, il suo coraggio sono l’eredità che ci ha lasciato e che dobbiamo difendere, perché non accada più quello che è successo a lei. Ma, soprattutto, perché la sua verità, raccontata in oltre trent’anni di canzoni, non vada perduta.

27 anni senza Mia Martini

Era il 1972 e nella sua Donna sola, Mia cantava così:

Sarà che questo mondo ha rovinato tutti i sogni miei. Se non avessi te, che sei innocente, giuro me ne andrei. Ed oltre il mondo volerei, per non tornare, credimi, sola. Per sentirmi libera, finalmente libera, sola io con la mia anima. Ma chi piangerà, lo so, sarò io. Io che resterò sola. Resterò sola.

Aveva poco più di vent’anni, ma queste parole profetiche raccontavano già il suo destino, la consapevolezza che un giorno, suo malgrado, si sarebbe ritrovata da sola a fare i conti con una storia ingombrante e dolorosa. Una storia fatta di un passato complicato, un presente ingeneroso e un futuro luminoso, ma senza di lei, perché Mia se n’è andata presto. Oggi restano le canzoni e resta la colpa di chi l’ha ingiuriata e di chi l’ha permesso. Ma nessuno, però, nemmeno il più crudele degli uomini ha potuto evitare che attraverso la sua voce diventasse eterna.

Mia Martini, il successo e l’abisso

Uno dei tratti distintivi di Mia Martini era senza dubbio la capacità di rimanere fedele al proprio stile, alla propria verità, alla propria sofferta unicità: ogni volta che entrava in una canzone, prima in punta di piedi e poi prepotentemente, sembrava indossare i suoi stessi panni. Sembrava ricongiungersi con quello che le apparteneva già, anche se quei testi erano scritti da altri; anche se lei, di quelle canzoni, ne era una semplice esecutrice. Non importava se il pezzo fosse di Fossati, De Gregori o De Andrè, lei utilizzava i brani come mezzi per raccontarsi fedelmente: le sue interpretazioni erano sempre profonde, sentite, personali. Non solo: si pensa, erroneamente, che Mia sia stata solo un’interprete, ma non è così; negli anni, infatti, si è rivelata un’artista completa, sempre più disposta a farsi carico delle proprie fragilità e a raccontarle, con coraggio e determinazione. Come, ad esempio, in Quante volte, uno dei brani più amati del suo repertorio, da lei scritto e composto:

Ti avrei rubato la dolcezza, per disegnarla sul mio viso. E avrei voluto respirare solo un momento accanto a te. Quante volte lo lascerei. Sai quante volte io lo inventerei. Io porto i segni del suo dolore e lui respira, seguendo il ritmo del mio cuore. E quante volte, tra le mie mani, lui nasce ancora. E ogni volta sembra un po’ più grande.

E poi l’abisso, la discesa rovinosa verso un inferno tutto umano, fatto di maldicenze, ignoranza, superstizione. Mia Martini è stata accusata di portare sfortuna e quest’etichetta l’ha accompagnata fino alla sua morte. Nel 1989, all’indomani della sua partecipazione a Sanremo con Almeno tu nell’universo, in un’intervista alla rivista Epoca ha parlato di quanto difficile sia stato sopportare le calunnie della gente:

La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi.

Il mondo della musica, che era stato per Mia un approdo sicuro in seguito a un’infanzia e un’adolescenza burrascose, le ha voltato le spalle dopo averle mostrato il suo volto più crudele. Gli anni Ottanta, dunque, sono stati anni di solitudine, vissuti in disparte, senza potersi rimproverare uno sbaglio concreto. La sua colpa più grande, forse, era il suo stesso talento, l’essersi affermata e l’aver conquistato il pubblico. E questo, probabilmente, a qualcuno non è andato giù. O a più di qualcuno.

La rinascita

Nel 1989, un destino inaspettato, complice la musica, le ha dato un’altra possibilità. In quell’anno, infatti, ha partecipato al Festival della Canzone Italiana con uno dei brani più importanti per la sua carriera, Almeno tu nell’universo, scritto quasi vent’anni prima, nel 1972, da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio. Il brano, depositato nel 1979, è rimasto inedito per quasi due decenni, perché lo stesso Lauzi voleva che a cantarlo fosse Mia e solo lei. Quindi, nonostante in un primo momento fosse stato proposto a Mietta, alla fine sarà la Martini a cantarlo all’Ariston, dove si aggiudicherà per la seconda volta il premio della Critica (che dopo la sua morte prenderà il suo nome).

E così, inaspettatamente, visti gli anni difficili che aveva vissuto, è arrivata la rinascita: nonostante si sia classificato solo nono nella graduatoria finale del Festival, Almeno tu nell’universo è diventato uno dei brani più importanti della musica italiana. Ecco le parole di Mia, affidati sempre alla rivista Epoca:

Erano sette anni che non potevo più fare il mio lavoro, per cui in quel momento ho sentito ‘fisicamente’ questo abbraccio totale di tutto il pubblico, l’ho sentito proprio sulla pelle. Ed è stato un attimo indimenticabile.

La rinascita di Mia è passata attraverso nuove e importanti partecipazioni al Festival di Sanremo (nel 1990 propone La nevicata del ‘56, scritta per lei da Franco Califano; nel 1992, l’intensa Gli uomini non cambiano; calca quel palcoscenico per l’ultima volta, nel 1993, con Stiamo come stiamo, in duetto con la sorella Loredana Bertè); se non fosse morta prematuramente, inoltre, avrebbe dato vita al progetto La musica che gira intorno, interrotto anzitempo.

Non importa indagare la sua morte o sapere se sia stata una scelta o una triste condanna, l’ultima attraverso cui passare per diventare un mito. Mia Martini, come poche altre artiste, è riuscita a consegnarci un percorso fedele, che l’ha vista crescere, soffrire e rinascere dalle proprie sconfitte. La sua stessa vita si è fatta musica, a volte di speranza e, qualche volta, di triste consapevolezza. Ma non è mai stata una bugia. Per questo resterà una delle pagine più belle e commoventi della musica italiana. Per questo è rimasta nel cuore di chi, la più esauriente risposta, l’ha trovata nella sua voce e nelle sue canzoni.

Le canzoni più importanti

Ripercorriamo la carriera di Mia Martini attraverso alcuni dei brani più importanti della sua storia artistica.

Donna sola

Minuetto

Quante volte

Piccolo uomo

E non finisce mica il cielo

Almeno tu nell’universo

La nevicata del ’56

Gli uomini non cambiano

Stiamo come stiamo

Il bellissimo omaggio dell’illustratore Roby il pettirosso a Mia:

https://www.facebook.com/robyilpettirosso/photos/a.1401198423236246/3244246965598040/?type=3&theater

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