Gabriel Garcia Márquez, storia e frasi dell’autore di Cent’anni di solitudine

Il 17 aprile 2014 ci lasciava il grande Gabriel Garcia Márquez, l'autore del celebre romanzo Cent'anni di solitudine e Nobel per la letteratura: riscopriamolo ripercorrendo la sua vita e ricordando le sue frasi più amate

Nobel nell’82 e massimo esponente del cosiddetto realismo magico, Gabriel José de la Concordia García Márquez, al secolo “Gabo”, è molto più di uno scrittore. Ispirato nel corso della sua carriera da Jorge Louis Borges, Faulkner, Juan Rulfo, Virginia Woolf e Vargas Llosa, Marquez – colombiano naturalizzato messicano – è diventato senza troppe difficoltà il rappresentate principale della letteratura latinoamericana degli anni sessanta e settanta. E non solo: Gabo contestò duramente la pena di morte, sostenne il disarmo e denunciò la repressione contro la droga degli Stati Uniti.

A lui si devono le pagine più belle del Novecento: dalla storia delle generazioni Buendía in Cent’anni di solitudine all’amore smisurato di Florentino in L’amore ai tempi del colera, passando per il caso di Cronaca di una morte annunciata.

Gabriel Garcia Márquez non può non essere letto, non fosse altro che il suo stile scorrevole è spesso attraversato da un’amara ironia, da intrecci tra realtà e fantasia e dalla storia che fa sottofondo. Non è un caso che Márquez si sia fatto anche portavoce di lotte per la libertà e la giustizia.

Gabriel Garcia Márquez biografia

Gabriel Garcia Márquez nasce da Gabriel Eligio García, telegrafista, e da Luisa Santiaga Márquez Iguarán, il 6 marzo 1927 ad Aracataca, una piccolo villaggio fluviale del nord est della Colombia, ma viene cresciuto a Santa Marta dai nonni, il colonnello Nicolás Márquez e la moglie Tranquilina Iguarán.

Dal nonno materno, uomo politico liberale e veterano di molte guerre, e dalla nonna, una sensitiva, Gabo è stato sempre molto influenzato. Il primo lo si ritrova spesso nelle sue militaresche figure in romanzi come La mala ora (del 1966), L’autunno del patriarca (1975) e Nessuno scrive al colonnello (1958). E anche la nonna Tranquilina, che faceva sue storie miracolose e antiche leggende, è sempre presente anche tra le pagine di Márquez, che grazie a lei modifica la quotidianità in una serie di eventi soprannaturali. Lei, Tranquilina, viveva in un mondo tutto suo di fantasmi e di superstizioni, dove i vivi e i morti convivevano tranquillamente, e indurrà senza dubbio al Realismo magico che farà poi la fortuna di Márquez.

Una volta morto il nonno nel ’36, Gabriel si trasferisce a Barranquilla dove si diplomerà poi dieci anni dopo al Colegio Liceo de Zipaquirá.

Nel 1947 inizia i suoi studi all’Universidad Nacional de Colombia di Bogotà alla facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche (per poi abbandonarla) e proprio in quell’anno pubblica sulla rivista El Espectator il suo primo racconto La tercera resignacion.

Nel 1948 si trasferisce a Cartagena dove inizia a lavorare come giornalista per “El Universal” e come collaboratore di altre testate sia americane che europee, legandosi nel contempo a un gruppo di scrittori dediti alla lettura dei romanzi di autori quali Faulkner, Kafka e Virginia Woolf.

Nel 1954 torna a Bogotà come giornalista de “El Espectador”, quando pubblica il racconto Foglie morte, poi ancora l’anno dopo vive per un po’ a Roma per alcuni mesi, dove comincia a frequentare corsi di regia, e poi si trasferisce a Parigi. Nel ’58 prende in moglie Mercedes Barcha, l’amore della sua vita, e da quel matrimonio nascono Rodrigo e Gonzalo.

Con l’ascesa di Fidel Castro, Gabo va a Cuba e inizia a collaborare con l’agenzia “Prensa latina” fondata proprio da Castro, ma presto si traferisce a Città del Messico a causa delle continue minacce della CIA e degli esuli cubani. Qui scrive il suo primo libro I funerali della Mama Grande, mentre nel 1967 pubblica uno dei suoi romanzi più noti, “Cent’anni di solitudine”, le vicende delle generazioni della famiglia Buendía a Macondo. Un’opera che è considerata la massima espressione del cosiddetto realismo magico.

A questo capolavoro, seguono L’autunno del patriarca, Cronaca di una morte annunciata, L’amore ai tempi del colera e nel 1982 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Nel 2001 è colpito da cancro linfatico. Nel 2002 pubblica comunque la prima parte di “Vivere per raccontarla”, la sua autobiografia e nel 2005 torna alla narrativa pubblicando il romanzo Memoria delle mie puttane tristi, il suo ultimo romanzo.

Gabo muore il 17 aprile 2014, all’età di 87 anni, in una clinica di Città del Messico.

Márquez, il realismo magico tra solitudine e senso di morte

La vocazione di Márquez è fin dalla gioventù per la scrittura: per vivere comincia a fare il giornalista ma vorrebbe diventare sin da subito il romanziere, sapendo di voler calcare uno stile che non sia realista ma quello con il quale la nonna raccontava di fantasmi.

Pur collaborando con Prensa Latina, l’agenzia giornalistica di Fidel Castro nata dopo la rivoluzione cubana, il giovane Márquez vuol rimanere ben lontano dal mondo della politica. Dichiaratamente critico verso le dittature e le violazioni dei diritti umani (dopo il colpo di stato di Pinochet in Cile dichiara infatti di “non pubblicare” e uno dei suoi testi più famosi, Notizia di un sequestro, del 1996, racconta la storia di dieci ostaggi rapiti dai narcotrafficanti di Pablo Escobar), Gabriel tenta sempre di evitare di essere coinvolto negli affari della rivoluzione cubana.

marquez castro

Piuttosto, dedica i suoi scritti all’aspetto misero degli uomini, alla guerra e ai soprusi con uno stile legato alla natura sudamericana e a quel realismo magico che mette la poetica a metà strada tra l’elemento magico, surrealista e la rappresentazione realista. Márquez dichiara di essersi limitato a raccontare nei suoi romanzi cose già accadute, ma è forte e chiaro l’influsso della sensitiva Tranquilina e quell’effetto di “straniamento” attraverso l’uso di elementi magici, descritti altrettanto realisticamente.

Il “Real Meravilloso” è dunque in Márquez molto in evidenza, non è un caso che ne venga considerato il massimo esponente latino-americano, e riproduce un microcosmo in cui la linea di demarcazione tra vivi e morti non è affatto nitida, contribuendo a isolare del tutto la vicenda dal resto.

Ne è un celebre esempio, in Cent’anni di solitudine, la scena magica dell’ascesa al cielo di Remedios la bella, che scompare alla vista della famiglia mentre piega le lenzuola e che è effettivamente ispirata a qualcosa di accaduto: un’amica della nonna di Márquez, vergognandosi di ammettere che la figlia era fuggita via con un uomo, aveva raccontato che la ragazza era stata assunta in cielo proprio in sua presenza.

Gli scritti di Gabo non sono solo una riflessione sulla vita e sui suoi ironici episodi, ma anche sul lento e inesorabile scorrere del tempo e sulla morte, che rappresenta una costante presenza nei suoi scritti. I suoi personaggi, inoltre, sono sì pittoreschi e a tratti ridicoli, ma sono sostanzialmente soli. Soli dinanzi a una morte inevitabile e dinanzi alla vita, che per Gabriel García Márquez pare essere un continuo riflesso della sua fine, con i suoi fantasmi che non tormentano i vivi, ma ci parlano per scacciare la solitudine.

Non stupisce allora che Gabo si dia sempre distinto per quella sua avversione nei confronti della morte e per quel suo desiderio di osservare la vita oltre la fine, per quel mistero e quel dubbio che percorrono in sostanza tutta la sua opera. Per Márquez la morte è l’ingiustizia più grande ed è molto probabilmente questo il motivo per cui i fantasmi che dialogano con i suoi personaggi sono tristi.

Scrivere molto”, dirà Gabo. È l’unico antidoto per evitare il peggio.

Gabriel Garcia Márquez, le frasi celebri

gabrielgarciamarquez

Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un bordello.
(L’amore ai tempi del colera)

Tutti gli esseri umani hanno tre vite: una pubblica, una privata e una segreta.
(Vivere per raccontarla)

Il problema del matrimonio è che finisce ogni notte dopo aver fatto l’amore, e deve essere ricostruito ogni mattina prima di colazione.
(L’amore ai tempi del colera)

Mi sono reso conto che la forza invincibile che muove il mondo non è tanto l’amore felice, ma l’amore non corrisposto.
(Memoria delle mie puttane tristi)

Niente racconta di più di una persona del modo in cui muore.
(L’amore ai tempi del colera)

Quando una donna decide di andare a letto con un uomo, non esiste ostacolo che non superi, né fortezza che non abbatta, né considerazione morale che non sia disposta a mettere da parte: non c’è Dio che valga.
(L’amore ai tempi del colera)

Non è vero che le persone smettono di inseguire i sogni perché invecchiano, diventano vecchi perché smettono d’inseguire sogni.

Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo, convivere le malinconie e le inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non ne puoi più fare a meno… e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni notti comprese?
(L’amore ai tempi del colera)

Il segreto per invecchiare bene è aver fatto un patto di onestà con la solitudine.
(Cent’anni di solitudine)

Un uomo sa quando sta diventando vecchio perché comincia ad assomigliare a suo padre.
(L’amore ai tempi del colera)

Era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato.
(L’amore ai tempi del colera)

Non si muore quando si deve, ma quando si può.
(Cent’anni di solitudine)

Nulla a questo mondo era più difficile dell’amore.
(L’amore ai tempi del colera)

Dormì senza saperlo, ma sapendo che continuava a essere viva nel sonno, che metà del letto era di troppo, e che giaceva di fianco sul bordo sinistro, come sempre, ma che le mancava il contrappeso dell’altro corpo dall’altra parte.
(L’amore ai tempi del colera)

È più facile cominciare una guerra che finirla.
(Cent’anni di solitudine)

Sto per compiere cent’anni, e ho visto cambiare tutto, persino la posizione degli astri nell’universo, ma non ho ancora visto cambiare nulla in questo paese.
(L’amore ai tempi del colera)

Datemi un pregiudizio e solleverò il mondo.
(Cronaca di una morta annunciata)

Nella vita non c’è luogo più triste di un letto vuoto.
(Cronaca di una morta annunciata)

Il sesso è la consolazione che si ha quando l’amore non basta.
(Memoria delle mie puttane tristi)

Non ebbe mai la pretesa di amare né di essere amata, pur avendo sempre la speranza di trovare qualcosa che fosse come l’amore, ma senza i problemi dell’amore.
(L’amore ai tempi del colera)

Era convinta che le porte erano state inventate per chiuderle, e che la curiosità per quello che succedeva nella strada era cosa da donnacce.
(Cent’anni di solitudine)

L’unica cosa peggiore della cattiva salute è la cattiva fama.
(L’amore ai tempi del colera)

Uno sguardo casuale fu l’origine di un cataclisma d’amore che mezzo secolo dopo non era ancora terminato.
(L’amore ai tempi del colera)

Il mondo avanza. Si, gli dissi, avanza, ma girando intorno al sole.
(Memoria delle mie puttane tristi)

È impossibile non finire per essere come gli altri credono che uno sia.
(Memoria delle mie puttane tristi)

Ma si lasciò trasportare dalla sua convinzione che gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma che la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé.
(L’amore ai tempi del colera)

La vita non te la insegna nessuno.
(L’amore ai tempi del colera)

Nessun pazzo è pazzo se ci si adatta alle sue ragioni.
(Dell’amore e di altri demoni)

Le idee non sono di nessuno» disse. Disegnò in aria con l’indice una serie di cerchi continui, e concluse: «Volano lì in giro, come gli angeli.
(Dell’amore e di altri demoni)

Non c’è medicina che guarisca quello che non guarisce la felicità.
(Dell’amore e di altri demoni)

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