Le migliori università del mondo 2016: il politecnico di Milano la prima in Italia (ma solo 183°)

Come sono valutate le Università italiane? Buone sembrano reputazione e ricerca, poco competitiva, invece appare la proporzione tra docenti e studenti. È il quadro degli atenei italiani fotografato nell'edizione 2016-2017 del Qs World University Rankings.

Come sono valutate le Università italiane? Buone sembrano reputazione e ricerca, poco competitiva, invece appare la proporzione tra docenti e studenti. È il quadro degli atenei italiani fotografato nell’edizione 2016-2017 del Qs World University Rankings, il report annuale della Quacquarelli Symonds.

3800 le Università analizzate e, tra queste, 916 sono state incluse nella classifica. Classifica sulla cui vetta regna incontrastato il Massachussett Institute of Technology MIT, che domina anche la tredicesima edizione del QS World University Rankings riconfermandosi la migliore Università al mondo per il quinto anno di seguito. Segue poi l’Università di Stanford, mentre Harvard scende al terzo e l’Università di Cambrige al quarto.

Per identificare le Università più competitive nel mondo sono stati considerati sei criteri:

1. Un sondaggio internazionale rivolto ad accademici, docenti e ricercatori, ai quale è stato chiesto di indicare le Università migliori nel proprio ambito di specializzazione, ad esclusione di quella dove insegnano o ricercano.

2. Un sondaggio rivolto a datori di lavoro/recruiter. In 37,781 hanno indicato quali sono le Università dalle quali preferiscono assumere talenti.

3. Il numero di citazioni ottenute nel periodo 2011-2015 dai ricercatori per il proprio lavoro pubblicate nelle riviste scientifiche internazionali. Questo indicatore valuta l’impatto della ricerca prodotta utilizza la banca dati bibliometrica internazionale Scopus/Elsevier.

4. Il livello di risorse dedicate all’insegnamento. Uno studente ha una esperienza di apprendimento migliore se ha a disposizione un numero di docenti adeguato.

5. La proporzione di docenti internazionali rispetto al corpo docente

6. La proporzione di studenti internazionali rispetto al corpo studentesco

Il Politecnico di Milano (183esimo) si riconferma il numero uno in Italia per il secondo anno consecutivo, guadagnando quattro posizioni. Le altre Università italiane, invece, tranne il Politecnico di Torino (305esimo, guadagna nove posizioni) e l’Università di Modena e Reggio Emilia (690-700), perdono terreno oppure restano nel gruppo 700+.

università italiane

Molte Università italiane sono stimate dagli accademici e dai recruiter internazionali come dimostrano le classifiche di questi due importanti indicatori:

sondaggio accademici

Mentre non va male un indicatore molto competitivo come “Citations per Faculty” (il peso delle citazioni scientifiche)

citazioni ricerca

Nei rimanenti tre indicatori, che cumulativamente rappresentano il 30% del punteggio totale, l’Italia è non se la passa alla grande. In particolare, nell’indicatore “Faculty/Student Ratio” dove la migliore è 555esima al mondo. Con l’espansione della classifica, che quest’anno vede 25 new entry, l’Italia perde sempre più terreno in questo determinante indicatore. L’Università di Trento ottiene il miglior risultato italiano nell’indicatore “International Faculty” (proporzione di docenti ricercatori internazionali) ponendosi al 322esimo posto nel mondo, mentre il Politecnico di Torino primeggia in Italia nell’indicatore “International Students” (proporzione di studenti internazionali) ottenendo il 312esimo posto al mondo.

Ben Sowter, Responsabile Ricerca di QS, commenta: “L’Italia esprime eccellenze accademiche riconosciute in tutto il mondo. La nostra classifica riflette una buona performance negli indicatori pertinenti la reputazione e la ricerca. Quest’ultimo èun risultato particolarmente positivo – ma difficilmente sostenibile, in un paese dove l’ investimento nella ricerca costituisce solo 1.31% del PIL, rispetto alla media europea del 2%”.

Incrementare l’investimento è vitale – prosegue Sowter – per aumentare la competitività del paese. E per favorire il cambio generazionale tra i ricercatori e fermare la preoccupante emigrazione giovani menti brillanti”.

Una bella lezione, non credete?

Germana Carillo

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