Internet inquina! La battaglia di Greenpeace contro il cloud computing

Greenpeace si scaglia contro i giganti dell' Information Tecnology responsabili di immettere in atmosfera sostanze nocive per l'ambiente. Sebbene facciamo fatica a rendercene conto, e ci rimaniamo male, anche internet inquina, e non poco. Anche se in maniera indiretta. I server in cui sono immagazzinate tutte le informazioni necessarie alla navigazione web per il nostro lavoro ed il nostro svago, infatti, consumano miliardi di kilowatte di energia per il loro funzionamento e soprattutto per il loro raffreddamento. Un'energia prodotta per la maggior parte ancora da fonti fossili

Greenpeace si scaglia contro i giganti dell’ Information Tecnology responsabili di immettere in atmosfera sostanze nocive per l’ambiente. Sebbene facciamo fatica a rendercene conto, e ci rimaniamo male, anche internet inquina, e non poco. I server in cui sono immagazzinate tutte le informazioni necessarie alla navigazione web per il nostro lavoro ed il nostro svago, infatti, consumano miliardi di kilowatte di energia per il loro funzionamento e soprattutto per il loro raffreddamento. Un’energia prodotta per la maggior parte ancora da fonti fossili

Il cosidetto cloud computing, la nuvola di tecnologie informatiche disponibili online, in costante aumento con l’introduzione di nuovi dispositivi informatici sempre più evoluti, come ad esempio l’iPad di Apple che permetterà l’accesso in remoto ai social network o ai video in streaming,  non aiuta di certo i cambiamenti climatici, ma contribuisce in maniera rilevante all’inquinamento atmosferico.

Questo in sintesi quanto emerso nel rapporto Make IT Green: Cloud Computing and its Contribution to Climate Change, in cui l’associazione mette in guardia dai pericoli derivanti dalla crescita esponenziale dei consumi legati alle reti di comunicazione e stigmatizza le aziende dell’ IT che utilizzano ancora il carbone per l’approvvigionamento energetico dei propri data centers esortandole a convertirsi quanto prima alle fonti rinnovabili di energia.

La relazione di Greenpeace, infatti,  si basa su una precedente ricerca industriale e mostra come gli attuali tassi di crescita dei data center e delle reti di telecomunicazione porterà al consumo di circa 1.963 miliardi di kilowattora elettrici nel 2020; un valore più che triplicato rispetto ad oggi ed equivalente all’odierno consumo di elettricità di Francia, Germania, Canada e Brasile messi insieme. Le nuove applicazioni internet, che consentono di utilizzare una varietà infinita di risorse hardware e software, come ad esempio filmati in streaming, foto, films, per le loro caratteristiche, la loro varietà e frequenza di utilizzo, non possono essere disponibili in nessun altro modo se non ampliando enormemente i macchinari in grado di far rimbalzare le informazioni direttamente in rete sempre a disposizioni degli utenti, ma che necessitano, per essere mantenuti, di una grande quantità di energia. Energia che Greenpeace vorrebbe rinnovabile e non derivante da fonti fossili.

L’efficienza è un tema caldo nell’IT, ma il suo miglioramento è solo una parte della soluzione, l’industria deve anche assumersi la responsabilità della modalità con cui si procura l’energia. In poche parole: si alimenterà a carbone o con le energie rinnovabili?”- tuona l’associazione – Il settore dell’Information Tecnology ha la capacità di aiutarci a combattere i cambiamenti climatici attraverso l’innovazione riducendo le emissioni di gas serra e aumentando l’efficienza energetica.  Ma, data l’attuale espansione del cloud computing, l’industria ha bisogno per tenere la sua impronta di carbonio sotto controllo. Stiamo invitando i giganti dell’IT a mettere le loro forze appresso alle politiche di governo che diano priorità d’accesso alla rete alle risorse pulite come l’eolico e il solare “.

Un monito questo che, almeno in parte, sta cominciando ad essere preso in considerazione da alcune grandi aziende. Così se da una parte, come abbiamo visto,  Google strizza l’occhio al fotovoltaico a concentrazione e Yahoo punta, per alimentare i suoi stabilimenti  di Buffalo, sull’energia idroelettrica prodotta dalle cascate del Niagara, altri colossi della rete continuano ad utilizzare l’energia “sporca”delle fonti fossili che, con la crescente informatizzazione del mondo, le emissioni di gas serra a triplicarsi nel giro di 10 anni.

Emblematico il caso di Facebook, la società di Palo Alto che ha di recente annunciato la costruzione di un enorme data center a Prineville, Oregon, alimentato principalmente dal carbone. La scelta del più grande social network del mondo è infatti ricaduta sulla società energetica PacifiCorp, che utilizza questa fonte energetica, a basso costo ma molto inquinante. Per questo Greenpeace ha deciso di fondare proprio su Facebook un gruppo che chiede al colosso creato da Mark Zuckerberg l’abbandono del carbone e un maggiore impegno per il clima. Insomma, usare Facebook per spingere Facebook stesso ad utilizzare fonti rinnovabili per l’alimentazione dei propri servers. Per adesso pare proprio che funzioni, gli iscritti sono già 365mila. E, chissà, forse potrebbe essere anche una buona occasione per sensibilizzare milioni di adolescenti ( e non solo )  all’ uso responsabile delle risorse energetiche, visto che sembra quasi impossibile spingerli a ridurre la permanenza in rete sul network. Oltre a Facebook, torna nel mirino di Greenpeace anche la Apple accusata stavolta di costruire un altro impianto per i dati in North Carolina, Stato che punta soprattutto sul carbone.

L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è la costruzione di ulteriori infrastrutture per il ‘cloud computing’ in luoghi dove farebbero crescere la domanda di energia sporca, a carbone. Invitiamo le internet company a scegliere più accuratamente dove costruire e a fare pressione sui governi per l’adozione di energia pulia – denuncia Greenpeace –Aziende come Microsoft, Google e IBM sono ora in posizioni di potere a livello locale, nazionale e internazionale e possiedono la capacità di utilizzare tale influenza per promuovere politiche che permetteranno loro di crescere responsabilmente senza alimentare il cambiamento climatico.

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