Può un computer usare l’immaginazione? Gli scienziati glielo stanno insegnando

I ricercatori stanno sviluppando dei sistemi per permettere all’intelligenza artificiale di immaginare cose che non ha mai visto

I ricercatori dell’USC stanno sviluppando dei sistemi per permettere all’intelligenza artificiale di immaginare cose che non ha mai visto. Una tecnica che potrebbe portare a nuovi trattamenti medici e a una maggiore sicurezza nel mondo dei veicoli senza pilota.

Quando immaginiamo qualcosa che non abbiamo mai visto o sperimentato, attiviamo una serie di neuroni nel nostro cervello che, partendo da immagini già presenti nel ‘database’ della nostra memoria (la nostra conoscenza esperienziale del mondo) le rielaborano fino a creare nuove idee. In altre parole, per il cervello umano è facile immaginare un oggetto simile a qualcosa di già visto ma con attributi inediti.

Tuttavia, malgrado gli enormi progressi fatti in ambito tecnologico che stanno portando a forme di intelligenza artificiale sempre più sofisticate, è difficile per un robot superare le abilità umane in alcuni ambiti specifici – come ad esempio nella capacità immaginativa. Ora, un team di ricerca dell’USC ha sviluppato una forma id intelligenza artificiale che usa capacità simili a quelle umane per immaginare un oggetto mai visto prima.

Gli studiosi si sono ispirati alle capacità visive umane e hanno provato a ricrearle nelle macchine: gli umani possono separare in attributi più semplici le immagini percepite dalla realtà (distinguendone, per esempio, gli attributi relativi alla forma, al colore, alla posizione…) e poi ricombinare tali attributi in modo da immaginare un nuovo oggetto mai visto.

Tale abilità di ‘destrutturare’ e poi ‘ricostruire’ un oggetto è stata insegnata anche alle macchine, programmandole per creare modelli di immagini reali da cui estrapolare solo alcuni attributi che possono essere ricombinati fra loro in modo nuovo e inedito.

Purtroppo, però, le macchine sono generalmente abituate a riconoscere i pixel in un’immagine, piuttosto che attributi dell’oggetto in essa rappresentato. Per ovviare a questo problema, i ricercatori hanno utilizzato un nuovo concetto chiamato districamento. Il districamento può essere usato per creare i cosiddetti ‘deepfake’ (ovvero immagini di volti umani ottenute sovrapponendo i tratti somatici di due persone diverse: del primo volto si tengono solo i movimenti e la mimica facciale, del secondo se ne adotta l’aspetto esteriore – con il risultato di poter creare un proprio video assumendo le sembianze di un politico o di un vip): in pratica, si separano i tratti di un volto dai suoi movimenti, per creare un mix inedito.

Allo stesso modo, il nuovo approccio attinge da un gruppo di immagini (piuttosto che da un unico campione alla volta, come era avvenuto per gli algoritmi del passato) e coglie le similitudini fra queste, creando un apposito ‘archivio’. Poi, ricombina il sapere appreso per ottenere una sintesi fra tutte le immagini acquisite – ciò che potremmo chiamare immaginazione. Il processo è simile a quello condotto dalla mente umana: quando il nostro cervello ha acquisito un colore da un oggetto, può facilmente trasporre tale colore anche ad altri oggetti presenti nella memoria.

Immaginazione computer

Credits: USC Viterbi

Le implicazioni di queste nuove tecnologie sono diverse. Nel campo della medicina, ad esempio, potrebbe aiutare medici e biologi a scoprire nuove medicine, scomponendo le funzioni di un dato farmaco dalle altre proprietà e poi ricombinandole a formare un nuovo prodotto. Oppure, la capacità immaginativa dell’intelligenza artificiale potrebbe rendere i veicoli senza pilota più sicuri, perché permetterebbe di ‘immaginare’ tutti gli scenari possibili.

Fonte: USC Viterbi

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