La Crisi dei Migranti e la Eco-Proposta di Terra Nova

Cosa fare concretamente e radicalmente? Ecco la proposta di Terra Nova, basata sull'esperienza del Biotopo di Cura di Tamera

L’ironia della sorte a volte è veramente cruda: uno dei molti campi profughi nell’Egeo si chiama “Moria”, come le caverne infestate da mostri e demoni presenti nel libro e nel film Il Signore degli Anelli. In questa “Moria” della realtà, ha trascorso del tempo un gruppo di volontari del movimento Terra Nova e partiti dall’ecovillaggio di Tamera in Portogallo.

La crisi è evidente e nota a tutti, le soluzioni invece paiono ben lontane. L’accordo che sta per entrare in vigore, siglato tra EU e Turchia, appare una aberrazione che ha più a che fare con la deportazione che con l’assistenza umanitaria (e che molto probabilmente genererà un enorme mercato nero di tesserini di “regolare rifugiato”).

Ma cosa fare concretamente e radicalmente? Ecco la proposta di Terra Nova, basata sull’esperienza del Biotopo di Cura di Tamera e su ciò che è stato sperimentato e compreso in prima persona, e in prima linea, a Lesbo.

“Cosa possiamo fare? Come possiamo aiutare? Conosciamo il retroterra geo-politico che ha portato a questa migrazione di rilevanza storica. La situazione nei Paesi di queste persone è insostenibile. I contadini muoiono di fame, i dissidenti sono assassinati con le loro famiglie, soldati-bambino sono costretti ad uccidere i loro stessi parenti dalle milizie e dagli eserciti” Dieter Duhm

In effetti siamo tutti rifugiati, seppur fuggendo da gradi molto diversi di problemi: c’è chi fugge della famiglia, chi fugge dalla disoccupazione, chi fugge dalla campagna, chi fugge dalla guerra, chi fugge dalla miseria e dalle sciagure naturali. Ciò che accomuna tutti costoro è che lasciano la loro casa e terra e vanno…dove possono, dovendosi poi riadattare alla situazione che trovano, al sistema vigente potremo dire. La storia si ripete in circolo.

E se a queste persone venisse proposta e mostrata una visione diversa? Una visione che non racconta di fughe alla cieca e disperate, ma di viaggi con lo scopo di costruire una nuova terra in cui vivere, secondo valori diversi da quelli che stanno distruggendoci, un morso alla volta:

“Non potrebbero costoro, nei loro Paesi d’origine o in quelli in cui arrivano, dare vita ad una nuova cultura che possa garantirgli di diventare indipendenti dalle forze del capitalismo globale? Non potrebbero creare un nuovo tipo di cultura autonoma che sia orientata alle leggi della vita e non a quelle del profitto?

Tra i rifugiati vi sono degli spiriti forti che potrebbero manifestare tutto questo immediatamente. Date ai rifugiati della terra e aiutateli a creare le loro comunità auto-sufficienti! Avrebbero bisogno di molto poco, perché la Terra produce tutto quello di cui abbiamo bisogno, se curata in modo appropriato. L’auto-sufficienza alimentare può essere raggiunta una volta che siano realizzate l’autonomia idrica ed energetica.

Conosciamo metodi ben testati per averle entrambe, metodi di ritenzione delle acque, produzione di biogas, l’uso dell’energia solare e altro. In questo modo dei nuovi modelli di vita potrebbero sorgere velocemente: modelli a cui tutta l’Umanità dovrebbe adottare se vuole un benessere collettivo. Questi sarebbero i modelli per una nuova Terra, per Terra Nova” Dieter Duhm

Tutto ciò può apparire la solita utopia ma oggi noi abbiamo la conoscenza pratica e solida di come costruire e rendere stabili questo tipo di insediamenti comunitari. Tamera, e molti altri eco villaggi nel mondo, ne sono testimonianza vivente.

La terra devastata dalla guerra da cui molte di queste persone provengono può essere rigenerata (e con un costo minore rispetto a quello necessario per ricostruire tutte le infrastrutture, soldi che per inciso andrebbero nelle mani di multinazionali appaltatrici, vedasi la lezione Iraq), oppure zone abbandonate delle nazioni europee dove i rifugiati arrivano, possono essere rigenerate.

Se invece continuiamo ad alimentare il sistema, considerando queste persone solo dei “poveracci di rifugiati” (pensiamo invece a quanto coraggio e sacrificio ci sia in moltissimi di loro) usando la carità invece della compassione, trasformando i rifugiati in nuovi iperconsumatori e rimanendo noi stessi nel nostro ruolo di consumatori e apatici politici, non potremo che attendere la prossima ondata di profughi e magari corazzarci il cuore con gli strumenti che la xenofobia ci regala, per evitarci troppi dolori della coscienza.

E’ ovvio che una tale proposta radicale non possa essere realizzata da un momento all’altro, pertanto è necessario capire da dove si può ragionevolmente (valutata la situazione, le forze in campo e le risorse) iniziare.

Il piano di Terra Nova è fatto di piccole azioni che generano grande attenzione e fungono da esempio, secondo la teoria dei campi morfogenetici, portando ad un cambiamento globale.

Pertanto, secondo chi scrive, il primo passo (fattibile) sarebbe quello di un luogo con funzioni sperimentali, ove dimostrare che quanto si è proposto è fattibile: accogliere, o aiutare nella loro terra, i rifugiati e proporre loro di prendersi cura di una terra vuota con le tecniche e le “regole” di convivenza comunitaria che oggi noi conosciamo grazie al lavoro di tante realtà nel mondo, tra le quali certamente Tamera, secondo una visione comunitaria di rispetto della vita e della natura, che interrompa questo macchinario di morte che ci morde da ogni dove.

La proposta avrebbe un suo senso anche da un punto di vista di reale economia (non certo dal punto di vista della speculazione delle ricostruzioni post-belliche): ricostruire le infrastrutture di villaggi o piccoli paesi agricoli in un paese devastato al livello della Siria avrebbe costi enormemente superiori rispetto a quelli necessari per supportare le comunità locali a raggiungere l’autonomia idrica, energetica e alimentare con le tecniche sviluppate in molti eco-villaggi. Dal nostro versante di paesi di accoglimento invece, sappiamo quanti paesini deserti ci siano ormai sulle Alpi, l’Appennino, nel Sud del Paese, che ben si presterebbero ad essere rivivificati in questo modo. Si noti anche che si tratterebbe di comunità aperte e intenzionali, non su base etnica o di nazionalità o religione o cultura: verrebbe fatta la proposta e le persone (rifugiati, cittadini nazionali che vogliono cambiare vita, ecc) potrebbero scegliere di partecipare secondo la loro volontà, gettando tra l’altro i presupposti di una vera integrazione, tema critico e così tanto caro ai politici ed ai mass media in questi mesi convulsi e di convulsioni della civiltà.

(Nel prossimo post, verranno portate delle esperienze concrete di rigenerazione della terra, svolte grazie ad uno sforzo comunitario)

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