Crisi dei rifiuti? Storia di due punti di vista.

La gestione dei rifiuti in un esperimento di città sostenibile nella capitale svedese.

Mattina. Sfogliando il giornale mi imbatto in un articolo che cattura la mia attenzione. Si parla di Svezia e Norvegia, si parla di rifiuti. Si dice che i paesi del Nord guardino con appetito alle montagne di rifiuti che in Italia produciamo e ammassiamo nelle discariche, buttiamo per strada, bruciamo indisciminatamente. Si dice che sono fin troppo zelanti, lassù: si sono spinti così in là che adesso hanno finito i rifiuti combustibili e non sanno più come scaldarsi. Possibile?

È vero, penso tra me e me. I paesi nordici stanno affrontando una crisi legata alle dimensioni enormi degli impianti di termovalorizzazione, cogenerazione ed incenerimento, indispensabili per scaldare i freddi inverni scandinavi. Lo zelo con cui i popoli del Nord si applicano nella raccolta differenziata, nello smaltimento dei rifiuti e nella riduzone delle emissioni li ha portati ad un paradosso opposto al nostro, fatto invece di rifiuti mai differenziati e difficilmente smaltibili.

Tuttavia dentro di me qualcosa mi dice che in un modo o nell’altro questa “crisi” nel Nord Europa potrebbe tradursi in un passo avanti collettivo, in una soluzione di transito verso una gestione dei rifiuti (e dei consumi!) più equilibrata per tutti.

E inevitabilmente ripenso a quando ho fatto la conoscenza con le alternative nordiche alla nostra gestione, a quando ho scoperto con sorpresa che dallo sporco possiamo ricavare anche energia pulita, che con un po’ di buona volontà si possono trovare soluzioni intelligenti. Erano tanti anni fa, ero tanto più giovane (e tanto più ingenua). Ricordo bene la sorpresa che provai entrando per la prima volta in quella che per un po’ sarebbe diventata la mia casa, in un quartiere verdeggiante e tranquillo, circondato da canali su cui si affacciano e specchiano immense finestre. Ancora non lo sapevo, ma mi trovavo proprio nel cuore di una città sostenibile: Hammarby Sjöstad, la città acquatica.

Mi ero spinta a sud di Stoccolma alla ricerca di una stanza per qualche mese. La vecchia cartina che avevo con me indicava il quartiere in cui ero diretta come una zona industriale, e nonostante la silouhette della capitale svedese fosse così bella da addolcire persino un’imagine del genere non mi facevo grandi illusioni su che cosa avrei potuto trovare. E invece. Dieci minuti di metro e una volta scesa mi stupii di trovarmi a due passi da un canale ampio e pulito. Era sera, era autunno e la luna si specchiava nell’acqua di Sickla, a due passi dalla fermata un sentiero si infilava nel verde di un fitto bosco. Sembrava tutto fuorché una zona industriale.

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Venni accolta dal calore di un appartamento al terzo piano, vista aperta sul canale sottostante, profumo di biscotti speziati ed una giovane donna sorridente con un bicchiere di (udite udite) italianissimo Prosecco in mano. E fu proprio lei – che nel giro di cinque minuti mi adottò come nuova coinquilina – a spiegarmi dove mi trovavo a a raccontarmi di questo luogo speciale, che a partire dagli ultimi anni Novanta è diventato teatro di un esperimento di sostenibilità integrata davvero ardito. In quegli anni Stoccolma aspirava ad ospitare le Olimpiadi del 2004. Per il villaggio olimpico il Comune aveva individuato un’area dove sorgevano vecchi capannoni industriali ed elaborato un audace progetto di riqualificazione con la creazione di una piccola città autosufficiente. Le Olimpiadi sfumarono (furono assegnate ad Atene), il progetto per fortuna no. E così ecco che lentamente Hammarby Sjöstad, la città d’acqua, è diventata un piccolo gioiello di sostenibilità urbana in cui nulla (o quasi) viene sprecato.

Pian piano il suolo venne trattato per eliminare i contaminanti di origine industriale e permettere la costruzione di edifici la cui progettazione fu da subito vincolata da precisi requisiti ambientali. Il risultato si vede: l’architettura è moderna, ma confortevole e ovunque regna una piacevole sensazione di armonia con l’ambiente circostante, realizzata anche grazie al sapiente utilizzo di materiali come legno, pietra, acciaio e vetro, rigorosamente eco-certificati. La vegetazione originaria della zona è stata recuperata tramite la reintroduzione di specie autoctone e la creazione di un luogo che potesse attrarre non solo gli uomini, ma anche gli animali.

L’obiettivo di Hammarby Sjöstad – quello più complesso e più audace – è però quello di diventare un posto dove si fa di questa armonia uno stile di vita: un luogo salubre, che stimola mente e corpo, che offre possibilità di svago nel rispetto dell’ambiente e degli altri. Per questo anche tutto il sistema di collegamento alla città e le infrastrutture sono state pensate per favorire scelte il più possibile ecologiche: i collegamenti al centro di Stoccolma sono assicurati grazie ad una rete di metropolitana leggera, di tram e traghetti pubblici; all’interno della zona residenziale sono numerosi i servizi di car-sharing e le stazioni per automobili elettriche. Non solo, ma ogni singolo abitante del quartiere diventa parte consapevole di un enorme processo di riciclo e riutilizzo grazie ad un piano integrato per la gestione sostenibile dei rifiuti, un piano talmente completo ed efficiente da essere conosciuto anche all’estero come “modello Hammarby“. Questo ciclo ecologico prevede la gestione di energia, rifiuti, acqua e scarichi in maniera tale da minimizzare il consumo di energia e la produzione di rifiuti, massimizzando al tempo stesso il riciclo e la conservazione delle risorse.

Ad oggi gli abitanti di Hammarby Sjöstad producono quasi metà dell’energia di cui hanno bisogno sotto forma di rifiuti, liquami e acque di scarico. I rifiuti vengono differenziati con grande attenzione: rifiuti combustibili, alimentari e carta vengono separati direttamente dai cittadini grazie a sistemi di raccolta sotterranea accessibili dai cortili delle abitazioni. Allo stesso modo vi sono spazi di raccolta specifici per materiali come vetro, plastica, metallo, elettrodomestici e materiali pericolosi come vernici ed agenti chimici. Tutti i materiali vengono riutilizzati/bruciati/riciclati/convertiti secondo un efficiente sistema di smistamento e trattamento, in buona parte automatizzato. L’energia solare (sì, il sole splende anche al Nord ogni tanto!) si trasforma in elettricità e calore, la depurazione efficiente delle acque di scarico abbinata alla scelta di tecnologie eco-friendly permette il riutilizzo di buona parte dell’acqua sul territorio o la sua re-immissione in mare. Il materiale organico residuo degli scarichi viene inoltre trattato in impianti di biogas, ai quali attingono buona parte delle case del quartiere; quel che resta del processo di digestione viene utilizzato come fertilizzante. Anche l’acqua piovana viene trattata localmente, in modo da massimizzare l’utilizzo delle risorse. Insomma, un vero ciclo chiuso, un’efficienza strabiliante.

Ma la conquista più importante di questa città acquatica e di tutte quelle che le assomigliano è sicuramente quella culturale. Hammarby Sjöstad è un chiaro esempio di come una persona – inserita in un determinato contesto – possa acquisire consapevolezza del proprio ruolo all’interno di un ecosistema ed attribuirvi un valore importante (non solo economico). Di come cominci a percepire se stessa all’interno di un sistema complesso, in cui l’equilibrio é condizione fondamentale per la vita.

Utopia? A giudicare dai risultati si direbbe proprio di no.

Hammarby non è certo un modello perfetto e sarebbe ingenuo affermare che é facilmente esportabile, ma è un primo, significativo passo verso la riconquista di un equilibrio. L’esperienza svedese insegna che le soluzioni creative esistono, per chi vuole trovarle. E al di là della carenza di rifiuti – un problema che apre il capitolo successivo di questa corsa al contenimento dell’impronta ecologica umana – sono sicura che se cominciassimo tutti a lavorare insieme con questa consapevolezza saremmo già a metà dell’opera.

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