Negli ultimi mesi, sono stata invitata più volte a parlare dei miei viaggi e sono stata costretta a mettere ordine tra le mie idee, oltre che tra le fotografie. L’altro ieri, in volo di ritorno dalla Germania, una parola che ho sentito più volte in questi mesi continua a girarmi per la testa: WANDERLUST.
La parola tedesca “wanderlust” si può tradurre come “l’irresistibile necessità di viaggiare che consuma alcune persone”. Vi è mai capitato di sentire una necessità impellente di partire, di vedere nuove parti del mondo, conoscere persone, tradizioni e annusare l’aria poco familiare e ricca di emozioni di un luogo sconosciuto?
Non deve per forza essere dall’altra parte del mondo, anche una nuova città da scoprire a pochi km da casa, gustare il cibo di strada, oppure i piatti migliori in un ristorante tradizionale, visitare muse, mostre e scoprirne la storia.
Puntualmente una sensazione di inquietudine e necessità di partire si ripresenta e ho scoperto che non è direttamente né inversamente proporzionale alla qualità della mia vita in quella ce considero “casa”, dove tra l’altro sono sempre ben felice di tornare.
Posso essere totalmente felice e soddisfatta, ma ad un certo punto ho bisogno di partire, o anche solo di programmare un viaggio. Non si tratta di bisogno di fuggire, né di immaturità, a quasi 40 anni devo rendermi conto di essere fatta così e posso accettare gestire questo problemino.
D’altronde da un punto di vista antropologico, gli esseri umani sono una specie esploratrice: le radici dell’umanità sono legate all’Africa. I nostri antenati iniziarono a lasciarla intorno ai 70.000 – 50.000 anni fa (Armour et al 1996), stabilendosi poi in soli 50.000 anni, in tutto il mondo, adattandosi ai climi e alle condizioni ambientali più estreme e disparate: ancora oggi, il viaggio è un modo di sopravvivere e cercare di migliorare le proprie condizioni di vita.
La ricerca scientifica si sta occupando del perché perché gli esseri umani, anche in condizioni di benessere, amino viaggiare e si è concentrata sullo studio dei geni. Una delle scoperte è che il gene DRD4, coinvolto nella regolazione dei livelli di dopamina nel cervello, potrebbe essere collegato a questo tipo di comportamenti (Lichter et al, 1993): circa il 20% degli esseri umani possiede una variante di questo gene (DRD4-7R), che è collegata ad irrequietezza e curiosità (Schilling, Walsh e Yun, 2011).
Questa irrequietezza può indurre ad affrontare rischi maggiori, tra i quali, anche l’esplorare luoghi nuovi e lontani. Un’altro fattore che può contribuire a questa sindrome sembra essere la capacità che abbiamo sviluppato da bambini di sognare e viaggiare con l’immaginazione, che poi traduciamo da adulti in realtà. Essere stata una bambina che amava leggere più di ogni altra cosa, dipendente dalla capacità che hanno i libri di portarti magicamente in altri luoghi ed altre vite, può aver aggravato la mia patologia?
Anche la scienza dice che…la necessità di viaggiare non è una malattia, ma una necessità strutturale di molti esseri umani. Assecondare i miei bisogni ed essere gentile con me stessa aumenterà sicuramente la mia qualità di vita e quella di chi mi sta vicino.
Non amo il Natale e le feste in generale, li considero amplificatori di tristezza e dolore per chi non sta bene e non ha la fortuna di essere felice. Purtroppo, nel mondo, sono ancora la maggioranza.
Mi auguro e vi auguro un mondo senza guerre e confini, dove ogni luogo sia un posto accogliente in cui programmare il prossimo viaggio.
Volete curiosare tra miei viaggi? Il blog sta crescendo!