Il cristallo temporale costruito all’interno del computer quantistico di Google potrebbe cambiare la fisica (e l’informatica) per sempre

Potrebbe cambiare la fisica (e l’informatica) per sempre: costruito un cristallo temporale all’interno del computer quantistico di Google

È uno stato nuovo della materia e potrebbe cambiare la fisica (e l’informatica) per sempre: un gruppo di ricerca internazionale tra cui figurano anche alcuni scienziati italiani, avrebbe costruito un cristallo temporale all’interno del computer quantistico di Google. Il condizionale è d’obbligo, comunque, in quanto la ricerca, proposta a fine luglio, non è stata ancora pubblicata.

Come un cristallo “classico” è una struttura che si ripete identica nello spazio (a livello microscopico), così un cristallo temporale si ripete periodicamente nel tempo. Per sua natura, non raggiunge mai l’equilibrio termico, perché cambia continuamente, pur tornando sempre “uguale” nel tempo.

Per i fisici (e gli appassionati di scienza) i cristalli temporali sono delle meraviglie perché di fatto eludono uno dei principi fondamentali della termodinamica, che afferma come l’entropia dell’Universo (semplicisticamente una misura del disordine) tenda sempre ad aumentare. Ovviamente senza intervenire: se si vuole quindi “ordinare un sistema” è necessario immettere energia.

Nell’esperienza quotidiana in effetti questa appare un’ovvietà, ma la fisica, molto spesso, dimostra che le stessi leggi valgono nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande (come fatto dal neo premio Nobel Giorgio Parisi): infatti questo principio vale anche nel più profondo intimo della materia.

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Ecco, i cristalli temporali non seguono questa regola: invece di avvicinarsi lentamente all’equilibrio termico in modo che la loro energia o temperatura sia equamente distribuita in tutto l’ambiente circostante, rimangono bloccati tra due stati energetici al di sopra di quello di equilibrio, scorrendo avanti e indietro tra di loro indefinitamente.

Non è un’idea nuova e non è questa la prima realizzazione “pratica”: proposta per la prima volta nel 2012 dal fisico premio Nobel Frank Wilczek, nel 2017 furono pubblicati i primi risultati in laboratorio.

Ma, se quanto annunciato ora fosse confermato, questa sarebbe la prima volta che questo nuovo stato della materia viene realizzato all’interno di un computer quantistico, fornendo una svolta a questa futuristica tecnologia informatica.

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Ế stata una grande sorpresa – ha commentato a LiveScience WordsSideKick.com Curt von Keyserlingk, fisico dell’Università di Birmingham (UK) non coinvolto nello studio – Se lo avessi ipotizzato 30, 20 o forse anche 10 anni fa, nessuno se lo sarebbero aspettato.

In particolare gli scienziati  hanno annunciato di aver creato questa struttura per circa 100 secondi utilizzando i qubit (la versione quantistica del tradizionale bit del computer) all’interno del nucleo del processore quantistico Sycamore di Google.

Usando 20 strisce di alluminio superconduttore per i loro qubit, gli scienziati hanno programmato ognuna in uno dei due possibili stati, che nell’informatica “tradizionale” sono i famosi bit 0 e 1. Quindi, irraggiando con un microonde, hanno scoperto che il loro insieme di qubit stava girando avanti e indietro solo tra queste configurazioni, non assorbendo calore dal raggio a microonde: avevano creato un cristallo temporale.

E quindi? Quali le implicazioni?

Di fatto, i ricercatori hanno creato un processore quantistico efficientissimo, perché, se opportunamente isolato, a potenziale “trasmissione di dati infinita”. Potenziale, comunque, perché i sistemi di isolamento difficilmente potranno mai essere così efficienti da evitare la “decoerenza” ovvero il naturale processo con cui i cristalli, alla fine, assorbono energia e abbandonano il loro stato “a coppie”.

In effetti ora i ricercatori stanno lavorando proprio su tecniche sempre più valide per isolare il loro processore e mitigare l’impatto della decoerenza, ma è improbabile che eliminino definitivamente l’effetto.

Il lavoro è disponibile a questo link ma – lo ricordiamo – non è stato ancora pubblicato su una rivista soggetta alla review della comunità scientifica.

Fonti di riferimento: Livescience

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