Marte, eccezionale scoperta di una rete di laghi salati al Polo Sud

Non un unico lago, ma una rete di laghi salati intrappolati sotto il ghiaccio del Polo Sud di Marte. La scoperta del radar MARSIS

Non un unico lago, ma una rete di laghi salati intrappolati sotto il ghiaccio del Polo Sud di Marte. Un’eccezionale scoperta opera di un team internazionale di cui fanno parte anche la nostra Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e il nostro CNR che apre le porte a incredibili scenari sulla storia e la vita del Pianeta Rosso.

Tutto è iniziato nel 2018, o meglio anni prima della famosa pubblicazione del 2018, che confermò la presenza di un lago sotto la calotta polare meridionale del pianeta Marte grazie ai dati del radar MARSIS, presente a bordo della sonda europea Mars Express.

Secondo il team infatti, l’elevata intensità  del segnale riflesso proveniente da un’area di circa 20 km di diametro, avrebbe potuto essere spiegata dalla presenza di un lago d’acqua il cui congelamento sarebbe stato probabilmente impedito da una alta concentrazione di sali. Perché questi, per una nota legge della fisica, abbassano il punto di congelamento dei liquidi dove sono disciolti.

Oggi non solo la conferma, ma l’estensione dei risultati, che hanno portato a identificare una complessa rete di laghi salati.

“Non solo abbiamo confermato la posizione, l’estensione e l’intensità del riflettore individuato nel nostro studio del 2018 – annuncia infatti Elena Pettinelli, che ha guidato il team insieme a Sebastian Lauro – ma abbiamo anche trovato tre nuove aree altamente riflettenti”.

La tecnica usata è molto simile a quella di due anni fa.

“Abbiamo preso in prestito una metodologia comunemente utilizzata con i radar sottosuperficiali  terrestri per rilevare la presenza di laghi subglaciali in Antartide, Canada e Groenlandia, e abbiamo applicato tale metodologia all’analisi di dati MARSIS vecchi e nuovi –  spiega su questo Lauro – L’interpretazione che spiega meglio tutti i dati disponibili è che le riflessioni ad alta intensità sono causate da estese pozze di acqua liquida”.

Quello che non può essere (ancora) determinato è la possibilità o meno che questi specchi d’acqua siano in qualche modo interconnessi, ma della loro presenza i ricercatori si confermano certi.

Ed è tutto sempre dovuto a quella “semplice” ma fondamentale legge della fisica che afferma come la presenza di sali abbassi il punto di congelamento dei liquidi dove questi risultano disciolti. E che ne caso specifico – affermano i ricercatori – possono spiegare anche la presenza di acqua liquida nelle condizioni estreme di Marte.

“Esperimenti di laboratorio che studiano la stabilità di soluzioni acquose ipersaline  (brine) – spiega su questo Graziella Caprarelli, che ha collaborato alla ricerca – confermano in modo convincente che queste possono persistere per periodi di tempo geologicamente rilevanti anche a temperature come quelle che troviamo nelle regioni polari marziane, che sono notevolmente al di sotto della temperatura di congelamento dell’acqua”.

La scoperta è particolarmente rilevante anche perché conferisce un valore ancora maggiore a quella del 2018, in quanto l’esistenza di un singolo lago subglaciale poteva essere attribuita a condizioni eccezionali come la presenza di un vulcano sotto la coltre di ghiaccio, ma un intero sistema di laghi può indicare un processo di formazione relativamente semplice e comune.

È possibile quindi non solo che questi specchi d’acqua siano sempre esistiti nella storia di Marte, ma anche che siano indice di una vita passata.

“[I laghi] potrebbero conservare ancora oggi le tracce di eventuali forme di vita – sostiene su questo Roberto Orosei, un altro coautore del lavoro – che abbiano potuto evolversi quando Marte aveva un’atmosfera densa, un clima più mite e la presenza di acqua liquida in superficie, similmente alla Terra dei primordi”.

Ma non finirà qui, perché i ricercatori promettono di intensificare l’esplorazione delle regioni polari del Pianeta Rosso allo scopo di trovare altri laghi subglaciali, e di determinare la loro composizione ed il loro potenziale astrobiologico.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Astronomy.

Fonti di riferimento: Agenzia Spaziale Italiana / Nature Astronomy

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