Dal nuovo rapporto dell'OCSE emerge che in Italia la resistenza agli antibiotici è un problema grave, con un'infezione su tre che non risponde ai farmaci. Questa situazione mette in evidenza l'urgente necessità di affrontare il problema che ha anche implicazioni ambientali

@aircoolsa/123rf
La resistenza agli antibiotici (AMR) da parte di batteri che, nel tempo e a causa di una serie di pratiche scorrette, sono riusciti a diventare più forti dei farmaci, continua a preoccupare ed è una delle sfide più significative per la salute globale.
Nonostante gli sforzi congiunti da parte dei paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e dell’UE/SEE (Unione Europea / Spazio Economico Europeo) per affrontare questo problema, le previsioni rimangono allarmanti.
Senza ulteriori e immediate misure efficaci, i tassi di resistenza antimicrobica potrebbero crescere in modo esponenziale nei prossimi tre decenni, portando gravi rischi per la popolazione e costi che supereranno quelli sostenuti durante la pandemia di COVID-19.
Il nuovo rapporto, basato su tecniche di microsimulazione e apprendimento automatico, analizza anche i sistemi per affrontare la resistenza antimicrobica, ponendo l’accento su un approccio fondamentale: il One Health, un quadro collaborativo, transdisciplinare e multisettoriale che promuove una stretta cooperazione tra salute umana, salute animale, sistemi agroalimentari ed ambiente.
Questa strategia si rende necessaria in quanto i numeri dell’antibiotico resistenza sono molto preoccupanti.
I numeri dell’antibiotico resistenza in Italia
Dai dati presentati nel rapporto, emerge uno scenario drammatico: 1 caso su 5 di infezione batterica nei paesi dell’OCSE non risponde agli antibiotici, e in Italia questa proporzione si eleva addirittura a 1 su 3.
Di conseguenza – ma non è una novità – la resistenza agli antibiotici è diventata una minaccia per la vita umana.
Questi numeri si traducono in cifre impressionanti: ogni anno, circa 79.000 persone perdono la vita a causa dell’inefficacia degli antibiotici, più del doppio dei decessi combinati dovuti a tubercolosi, influenza ed HIV/AIDS.
L’Italia, in particolare, si trova tra i paesi con le statistiche peggiori con una media del 35,7% di batteri resistenti ai 12 antibiotici più importanti. I decessi per questa causa sono circa 6500 l’anno ma alcune statistiche sono anche peggiori.
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Solo alcune nazioni superano questa percentuale, tra queste India, Turchia, Grecia, Arabia Saudita, Indonesia, Romania, Messico, Cipro e Cina. Al contrario, Paesi come Danimarca e Norvegia mantengono una resistenza inferiore al 6%.
@Ocse
Parte della responsabilità di questa situazione in tutto il mondo la hanno alcune pratiche agricole e gli allevamenti intensivi.
L’uso di antibiotici per trattare malattie delle piante è stato approvato in molti Paesi e mentre alcune nazioni hanno regolamentato in modo da mantenere un uso limitato, in altre regioni la quantità di antimicrobici impiegata per combattere i parassiti delle piante è significativa.
La preoccupazione cresce ulteriormente quando si considera l’intersezione tra cambiamento climatico e malattie delle piante, poiché l’incremento della necessità di antibiotici potrebbe rendere tali agenti meno efficaci contro i batteri. L’uso concomitante di erbicidi e antibiotici potrebbe poi accelerare lo sviluppo della resistenza.
C’è infine da considerare che gran parte degli antibiotici ingeriti, sia da esseri umani che da animali (circa l’80% in quest’ultimo caso), arriva nei sistemi fognari, nel suolo, nei corsi d’acqua o nel letame. Questi composti possono aumentare la resistenza, contribuendo ulteriormente alla diffusione del problema.
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Fonte: OCSE
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