Contrordine! La vitamina D non protegge dal covid, i risultati di due nuovi studi che smontano tutto

Due nuovi studi mostrano che integrare vitamina D non ha alcun beneficio nella prevenzione del Covid-19 o delle infezioni acute del tratto respiratorio, indipendentemente dal fatto che gli individui siano o meno carenti e della dose somministrata

Si torna a parlare di vitamina D e covid. Due ampi studi, condotti nel Regno Unito e in Norvegia, mostrano che integrare la vitamina D (indipendentemente dal dosaggio e dall’integratore scelto) non offre alcun beneficio nella prevenzione del Covid-19, così come di altre infezioni del tratto respiratorio.

Durante la pandemia tante persone hanno acquistato e utilizzato integratori di vitamina D con la speranza di riuscire in questo modo a scampare la malattia, o quantomeno a ridurne la sintomatologia. Questo perché i medici in prima linea avevano iniziato a notare che le persone con livelli più bassi di vitamina D sembravano avere un rischio maggiore di morire per Covid-19.

Da qui poi è partita l’idea che assumere dosi supplementari di vitamina D, anche se non necessarie, avrebbe impedito al coronavirus di fare troppi danni.

Il tutto sembrava essere stato confermato anche da diversi studi. L’ultimo di cui vi abbiamo parlato è il seguente:

Due nuove ricerche, però, smontano la teoria secondo cui integrare la vitamina D è utile a prevenire o trattare il covid. Infatti, secondo questi studi, usciti in contemporanea su BMJ, è improbabile che tali integratori possano prevenire davvero la malattia, anche se i livelli di questa vitamina sono bassi.

Il primo studio, condotto nel Regno Unito durante il culmine della pandemia, ha somministrato a 3100 persone carenti di vitamina D una dose bassa o alta di questa sostanza, per vedere se il supplemento fosse in grado di prevenire il coronavirus o altre infezioni respiratori.

E, in entrambi i casi, i risultati hanno mostrato che, come dichiarato dal dottor Adrian Martineau, professore di infezione respiratoria e immunità presso l’Institute of Population Health Sciences della Queen Mary University di Londra:

non ha comportato una riduzione del rischio di infezioni respiratorie acute (ARI) per tutte le cause o in particolare il rischio o la gravità di COVID-19.

Un secondo studio clinico randomizzato in doppio cieco, condotto anch’esso durante la pandemia, ha somministrato a oltre 34.000 norvegesi olio di fegato di merluzzo o un placebo per testare l’impatto della vitamina D sul Covid e sulla prevenzione delle malattie respiratorie. Questo integratore contiene naturalmente basse dosi di vitamina D, insieme a vitamina A e acidi grassi omega-3.

I partecipanti, di età compresa tra 18 e 75 anni, sono stati divisi in due gruppi: il primo assumeva un cucchiaino (5 millilitri) di olio di fegato di merluzzo, l’altro un cucchiaino di olio di mais, che serviva come placebo, ogni giorno per sei mesi durante l’inverno.

A differenza dello studio condotto nel Regno Unito, dove molti partecipanti erano carenti di vitamina D, i test in Norvegia hanno mostrato che il 90% delle persone nel gruppo con olio di fegato di merluzzo e il 72% di quelle nel gruppo placebo, avevano livelli adeguati all’inizio dello studio:

Ma non abbiamo riscontrato che questa misura abbia influenzato la possibilità di contrarre COVID-19 o altre infezioni respiratorie acute –  ha dichiarato il dottor Arne Søraas, ricercatore nel dipartimento di microbiologia presso Ospedale universitario di Oslo in Norvegia.

I risultati di questi due studi non concordano dunque con quanto evidenziato da altre ricerche di cui vi abbiamo parlato nel corso di questi anni. Non abbiamo ancora una risposta certa e univoca sul ruolo della vitamina D nei confronti del covid. E anche il dottor Peter Bergman del Karolinska Institutet di Stoccolma, nell’editoriale pubblicato su BMJ relativo ai due studi scrive: “Non è detta l’ultima parola”.

Spiega infatti che i risultati di questi due studi potrebbero essere stati in qualche modo influenzati dalla comparsa delle vaccinazioni anti-covid che potrebbero aver “oscurato” il ruolo della vitamina D.

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Fonte: BMJ

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