Psicologia della puntualità. Consigli per ritardatari cronici e puntuali ossessivi

Puntualità e ritardo riflettono dimensioni psicologiche e culturali. Consigli operativi per puntuali ossessivi e ritardatari cronici-

Puntualità e ritardo riflettono dimensioni psicologiche e culturali. Consigli operativi per puntuali ossessivi e ritardatari cronici

La puntualità è la cortesia dei re”, affermava Luigi XVIII. Oggi più prosaicamente gli aforismi restituiscono i tanti, diversi, tutti potenzialmente veri, punti di vista sul tema: “La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate”; la puntualità è “la virtù dell’annoiato”, “l’anima dei buoni affari” ma anche “Il tuo capo è l’unico a essere al lavoro presto se tu sei in ritardo e in ritardo se tu ci sei presto” oppure “Chi non è puntuale spreca il tempo degli altri come se fosse il suo”.

Non c’è dubbio che la propensione e l’attenzione ad essere in orario, a onorare un timing concordato siano sempre un valore e una dimostrazione di rispetto per gli altri e per l’impegno preso ma poi l’applicazione concreta dipende anche, molto, da variabili culturali. Ad esempio, in Occidente la puntualità negli appuntamenti personali o professionali è generalmente importante, mentre per un arabo, un brasiliano o perfino uno statunitense del sud è spesso solo un’indicazione di massima: si è puntuali purché l’appuntamento sia “sometime in the morning o sometime in the evening” (nel mattino o nel pomeriggio).

Se pure restiamo in Europa, le differenze sono non di meno significative; Germania e Gran Bretagna, per quanto entrambe molto attente alla puntualità, non la vivono allo stesso modo: per i tedeschi è una forma mentis, che diventa poi rigidità, rigore nei rapporti sociali e comunicativi; per i sudditi della Regina è, piuttosto, una forma di rispetto: l’assenza non determina irritazione o persino panico come invece succede in Germania. E che dire di Italia e Olanda? Secondo uno studio realizzato dalla Utrech University noi, abitanti dello Stivale, siamo più flessibili: tolleriamo cinque minuti di ritardo, che in genere commentiamo in modo scherzoso o ironico; per gli Olandesi, invece, si tratta di una tempistica non tollerabile, legata alla produttività, e non esitano a esprimere il loro disappunto in modo molto diretto e “duro”.

Che ne dice la psicologia, cosa si nasconde dietro un ritardatario?

Spesso c’è semplicemente un ottimista multitasking: pieno di impegni, che corre dietro al tempo per fare più cose possibili; naturalmente in questa corsa, l’obiettivo è l’andamento complessivo e non il rispetto formale della singola tempistica.

Ma ci sono anche persone cronicamente in ritardo a prescindere: e allora arrivare sempre “dopo” diventa un modo passivo-aggressivo per esprimere il proprio disappunto o disinteresse; per rimandare inconsciamente l’incontro con un impegno che non si desidera rispettare; un espediente – a volte inconsapevole – per ribellarsi alle regole imposte da altri e così, indirettamente, affermare se stessi o, anche, attirare la propria attenzione su di sé e trovare conferme (se qualcuno ti aspetta è perché sei importante per lui o lei). Può essere una pigra ed egocentrica mancanza di rispetto, anche. Molto dipende dai contesti (lavorativo o privato, relazionale) in cui si esercita l’arte del ritardo.

E chi arriva puntuale, sempre puntuale o addirittura in anticipo?

Si tratta di individui precisi, ordinati, organizzati. Che dimostrano il loro totale interesse: non può arrivare in ritardo – salvo il verificarsi di situazioni davvero imprevedibili – chi non vede l’ora di fare qualcosa, stare con qualcuno.

Però per quanto, indubbiamente, la puntualità rappresenti generalmente una virtù da coltivare, può avere – pure lei – un possibile lato “oscuro”: può celare dinamiche ansiose, insicurezza; è un modo per avere tutto sotto controllo, per non perdersi: in questi casi essere in orario più che una sensibilità diventa una necessità, un’ossessione, un’attenzione maniacale; l’eventuale ritardo rappresenta un dramma.

Si può cambiare il proprio atteggiamento e abitudini tra puntualità e ritardo? Ovviamente sì, a patto di volerlo davvero fare. In alcuni casi può essere necessario un lavoro personale accompagnato; tutti possono comunque cominciare partendo da una osservazione di sé.

Se si è cronicamente in ritardo, è importante realizzare che – nei fatti – il proprio comportamento dimostra mancanza di considerazione e interesse: se questo corrisponde alla realtà, perché non organizzarsi per fare delle scelte strategicamente diverse, funzionali ai propri desiderata e che, al tempo stesso, rispettino gli altri? Negli altri casi si potrà agire sulle proprie abitudini (partendo dalla compilazione di un elenco degli effetti negativi dell’arrivare in ritardo: dalle liti con gli amici, ai problemi sul lavoro, alle occasioni perse, alla sensazione personale spiacevole del cuore in gola o dell’ansia di non farcela e così via) e sulla gestione del tempo (con un’analisi di realtà – e stime più precise – rispetto alle tempistiche necessarie per fare questo o quello – spostamenti inclusi – e un successivo ponderato planning degli impegni).

Se il problema fosse opposto, si può invece provare a giocare con il ritardo: pianificarlo, ogni tanto. Anche un paio di minuti, per cominciare. Per essere puntuali, però sulla strada di una maggiore flessibilità.

Anna Maria Cebrelli

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