Secondo il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, il caseificio vegano di Barbara Ferrante non può chiamare i suoi prodotti “formaggio”. E no, non è solo una dichiarazione, è il contenuto di una diffida ufficiale che i titolari si sono visti recapitare, che intima l’immediata rimozione della denominazione, pena sanzioni fino a 30 mila euro
Il Caseificio vegano di Barbara Ferrante non può chiamare i suoi prodotti “formaggio”, lo dice il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. E no, non è una dichiarazione verbale, è il contenuto di una diffida ufficiale che i titolari si sono visti recapitare, che intima l’immediata rimozione della denominazione, pena sanzioni fino a 30 mila euro.
La diffida ha lasciato increduli quanto amareggiati i proprietari del caseificio, che comunque si adegueranno all’imposizione per non incorrere in procedure legali lunghe e molto onerose, che potrebbero comunque terminare con il pagamento di un’ammenda importante, soprattutto per un piccolo esercizio commerciale.
La notizia è apparsa, oltre che su diversi organi di stampa, anche su un post su Facebook dell’ex-parlamentare Paolo Bernini.
Il 28 novembre, inoltre, il caseificio aveva di fatto confermato di aver ricevuto la diffida come risposta ad un commento di un lettore della loro pagina che, dichiarandosi onnivoro, si riferisce alla diffida in modo tutt’altro che concorde.
Il Caseificio vegano di Barbara Ferrante ha iniziato le sue attività quattro anni fa, in piena pandemia con l’obbiettivo di realizzare prodotti completamente vegetali, e al momento offre un assortimento di 22 prodotti.
La nostra è un’impresa basata sull’etica – scrivono i titolari sul loro sito – Siamo convinti che se le persone prendessero coscienza dell’orrore che si nasconde dietro i prodotti di origine animale il nostro modo di alimentarci cambierebbe. Noi vogliamo essere parte attiva di questa trasformazione e proponiamo a chi desidera affrontare il cambiamento una via fatta di sapori nuovi, ma al tempo stesso antichi. È a questo futuro senza violenza che vogliamo dare il nostro contributo
I formaggi vegani
Il caseificio di Barbara Ferrante non è di certo il primo, né l’unico, a produrre formaggi vegani: questi prodotti sono tutti a base vegetale, e si differenziano molto in gusto e consistenza in base ai prodotti di partenza ma anche alla loro lavorazione (proprio come i formaggi “tradizionali”).
Come spiega Animal Equality, organizzazione internazionale per la protezione degli animali allevati a scopo alimentare, esistono formaggi a base di riso fermentato, di olio di cocco, e persino con la frutta secca, così come a base di farine di legumi (soprattutto ceci), e seguono rigorose procedure di produzione.
I prodotti vegani e la carne coltivata
La vicenda ha non poche similitudini con la “lotta” alla carne coltivata. Il nostro Paese si è infatti “distinto” a novembre 2023 come primo e per molto tempo unico Paese al mondo a vietarla. Con 159 voti favorevoli della maggioranza, 34 astenuti e 53 voti contrari, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il DDL (fortemente sostenuto da Coldiretti), che vieta di produrre, vendere, somministrare, distribuire o promuovere alimenti a base di colture cellulari, prevedendo sanzioni da 10 a 60 mila euro.
Leggi anche: Carne coltivata, la Camera approva la legge per vietarla. Sanzioni fino a 60mila euro per ogni violazione
A febbraio di quest’anno però, la Commissione Europea ha bocciato la legge italiana, chiudendo in anticipo la procedura TRIS (Sistema di informazione sulle regolamentazioni tecniche), spiegando che il nostro Paese, con il divieto sopra citato, ha violato la normativa Ue. E appena un mese fa l’UE ha bocciato un analogo divieto approvato in Ungheria.
Si è dunque tornati a parlarne, anche nel nostro Paese, e soprattutto a cercare vie sempre più innovative e sostenibili per la produzione di questo alimento. Tanto che il mese scorso l’Università di Torino ha lanciato una campagna di crowdfunding per un progetto di ricerca sulla carne coltivata, CultMeat.
Oltre al reperimento di fondi sufficienti, l’obbiettivo è avvicinare la cittadinanza ad una ricerca di cui si discute ancora molto ma che potrebbe davvero contribuire combattere l’insicurezza alimentare e gli allevamenti intensivi, causa, oltre che sofferenza animale, di deforestazione ed emissioni di gas serra.
Il sito del caseificio, al momento, riporta ancora la parola “formaggio”, ma molto probabilmente la rimuoverà presto.
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